di Luca Tesser |
Le origini del proibizionismo americano risalgono alla metà del XIX secolo. In questo periodo negli Stati Uniti si fece sempre più alta la voce delle Leghe della Temperanza, correnti rigoriste di matrice religiosa che professavano una rettitudine assoluta dei costumi e che vedevano nel consumo di alcol una intollerabile causa di degenerazione personale, sociale e spirituale. Si trattava di associazioni guidate quasi esclusivamente da pastori protestanti, ma che coinvolgevano anche personalità politiche e del mondo dell’industria, preoccupate delle ricadute sociali dell’alcolismo, un fenomeno all’epoca davvero molto diffuso e motivo di situazioni problematiche soprattutto nei luoghi di lavoro. Le persone, effettivamente, bevevano troppo e non stupisce che un personaggio del calibro di Henry Ford fosse un fervente sostenitore proibizionista: a suo avviso, gli operai sobri sarebbero stati più efficienti e affidabili.
L’alcol è bandito per legge
Mentre nelle grandi città resisteva una certa tolleranza verso il consumo di alcol, nei territori di confine e nei Paesi interni degli Stati Uniti le Leghe della Temperanza, tra le quali la più nota fu la Antisaloon League, fecero proseliti e riuscirono a imporre la propria visione proibizionista. Nel 1917 il Congresso sottopose alla ratifica dello Stato il XVIII emendamento alla Costituzione americana, che vietava la produzione, il trasporto e la vendita di liquori. In circa undici mesi, la norma ottenne il sostegno dei tre quarti degli stati americani necessari per la convalida, che avvenne il 16 gennaio 1919. Nell’ottobre dello stesso anno, il Congresso emanò il National Prohibition Act, che forniva linee guida per l’applicazione federale del proibizionismo, quello che divenne noto come il Volstead Act, dal nome del deputato sostenitore Andrew Volstead, del Minnesota, presidente della commissione giudiziaria della Camera. Un anno dopo, l’emendamento entrò in vigore, rendendo così illegale la fabbricazione, l’importazione e la vendita di bevande alcoliche di qualsiasi genere. Nell’intento dei legislatori, rendere irreperibile l’alcol ne avrebbe impedito il consumo: l’emendamento, infatti, non riportava alcun divieto specifico di consumare liquori o simili. Evidentemente, i legislatori non avevano fatto i conti con quanto il commercio illegale degli alcolici avrebbe fruttato alla malavita organizzata.
Il trionfo dell’illegalità
Il progetto proibizionista fu fallimentare, innanzitutto perché la maggioranza della popolazione, soprattutto nelle grandi città, considerava la proibizione di bere alcolici come una misura insensata. Inoltre, il consumo di alcol era talmente radicato a livello sociale che l’idea di una società fedele a principi di rettitudine e sobrietà era un’utopia irrealizzabile. Già alla vigilia dell’entrata in vigore del XVIII emendamento la popolazione reagì facendo il più possibile scorta di alcolici, non essendo in alcun modo vietato il possesso personale di alcol. I negozi di alcolici nelle loro ultime ore di vita vennero letteralmente presi d’assalto e in molte città si celebrarono anche funerali all’ alcol con feste sfarzose nelle quali proprio l’alcol scorreva a fiumi. A beneficiare della situazione fu il crimine organizzato, che non si lasciò sfuggire l’occasione di mettere le mani su un business di portata enorme, alimentato anche dal fatto che la stragrande maggioranza dei cittadini non considerava il traffico illegale di alcolici come un crimine. Fu in questo contesto che nacquero gli speakeasy, locali illegali in cui l’alcol scorreva a fiumi. Il termine faceva riferimento alla necessità di segretezza: ai clienti veniva chiesto di parlare a bassa voce, speak easy, appunto, per evitare di essere scoperti a chiedere alcolici. Erano gestiti, nella maggior parte dei casi, direttamente da esponenti della malavita e venivano frequentati da tutti, poliziotti inclusi. Si diffusero al punto che il loro numero, soprattutto nelle grandi città, era superiore a quello dei bar con licenza attivi prima dell’entrata in vigore del XVIII emendamento. Gli speakeasy erano locali nascosti dove, in genere, oltre ad avere la certezza di poter consumare alcol, si giocava d’azzardo e si poteva ascoltare della buona musica. Sui banconi di questi bar gli alcolici arrivavano grazie al contrabbando. Il crimine organizzato faceva arrivare il Whisky soprattutto dal Canada, il Rum dai Caraibi e il Tequila dal Messico. E, con una certa facilità, reperivano alcolici europei come lo Champagne, il Cognac e lo Scotch Whisky, scambiati illegalmente nei porti di tutti gli Stati Uniti. In alcuni casi, inoltre, si producevano bevande alcoliche anche in distillerie clandestine sul territorio americano. Il contrabbando e il controllo del traffico di alcolici decretarono la fortuna di gangster come Al Capone, Lucky Luciano, Bugsy Siegel e Meyer Lansky, membri di associazioni a delinquere che detenevano un potere mai visto prima negli Stati Uniti e che non esitavano a imporsi con la violenza. Il governo americano si trovò impreparato a fronteggiare la situazione: non aveva minimamente pensato a come combattere il contrabbando e, preso atto della gravità della situazione, si rese conto che la battaglia non sarebbe stata per nulla semplice. Fu istituito un reparto federale dedicato alla lotta al crimine organizzato, resa ancora più complicata dai livelli di corruzione che interessavano la stessa polizia e le istituzioni. Una storia, questa, che ben conosciamo anche grazie alle tante rappresentazioni cinematografiche: chi non si ricorda, ad esempio, “Gli Intoccabili”, il film di Brian di Palma con De Niro nella parte di Al Capone, Kevin Costner, Sean Connery e Andy Garcia?
La fine di un’epoca
Anziché creare un vantaggio comune alla società, quindi, il progetto proibizionista aveva provocato un danno economico enorme, non solo perché gli introiti del traffico illegale finivano nelle mani del crimine organizzato, ma anche perché erano cessate tutte le attività legali dell’indotto. Dovettero passare più di dieci anni prima che il Governo americano si rendesse conto del fallimento del proibizionismo e accettasse che il consumo di alcol era troppo radicato nel tessuto sociale per poterlo mettere al bando. Negli anni della Grande Depressione, inoltre, legalizzare l’industria dei liquori poteva creare occupazione e dare respiro a un’economia in profonda crisi. Nel 1932 il democratico Franklin D. Roosevelt si candidò alla presidenza con una piattaforma che chiedeva anche l’abrogazione del proibizionismo e vinse. Nel febbraio 1933 il Congresso adottò una risoluzione che proponeva un XXI emendamento alla Costituzione con il quale si sarebbe abrogato il XVIII. L’emendamento fu presentato agli Stati e nel dicembre 1933 ottenne l’ultimo voto necessario per la ratifica. Si chiudeva così l’epoca del proibizionismo, nel tripudio generale del popolo americano. Che dire: “God Bless America!”.
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