Il Jigger, un must have per ogni bartender

di Fabiana Canella|

Per i bartender più giovani il jigger è uno strumento essenziale, tra quelli più adulti troviamo ancora chi sostiene che un bravo bartender non ne abbia bisogno, mentre per i millennials segna la divisione tra l‘era contemporanea e quella ormai antica del bere miscelato. Ma come siamo arrivati, nel giro di mezzo secolo, da non sapere neanche cosa fosse ad averne una collezione al bar? Le tipologie di jigger piu comuni che troviamo in commercio sono quelle tipiche del mercato anglosassone, quindi con le misure “Single” 25 ml e “Doble” 50 ml, o alla Dungan, più tradizionale, 30 ml e 60 ml. Un’altra tipologia di jigger è il Japanese Stile, più sottile e preciso, che contiene diverse misurazioni all’interno.

La Storia

Per capire la storia del jigger bisogna far riferimento alla storia della miscelazione moderna. Se pensiamo alla letteratura del cocktail, nei primi veri manuali di miscelazione troviamo i cocktail espressi in proporzioni, spoon, bicchieri, galloni ma anche in once. Jerry Thomas nel suo “Bartender´s Guide” aveva sicuramente già capito l’importanza della misurazione per avere un perfetto bilanciamento dei gusti. Ma non possiamo essere sicuri di quali fossero gli strumenti che utilizzava per versare. Il Professore era famoso per la sua valigia piena di bar tools, ed è forse da lì che si è incominciato a pensare che il bartender avesse bisogno di strumenti di misurazione specifici. Siamo nel 1865, ma poco cambia nel Savoy Cocktail Book del 1930.  Di una cosa siamo sicuri: i maestri della miscelazione avevano già capito l’importanza della ripetibilità di un cocktail e il jigger nasce proprio in quegli anni, forse per rispondere a questa esigenza. Il brevetto del jigger viene registrato da Cornelius P. Dungan a Chicago nel luglio 1893 e proprio in questa prima versione ufficiale in metallo viene sottolineata l’importanza delle proporzioni delle due parti dello strumento. Sembra quindi che fino alla seconda meta del Novecento il jigger doppio conico, come lo conosciamo noi, non fosse così diffuso, ma si sia con il tempo evoluto a partire da uno sherry glass. Il termine jigger, nel senso di una piccola tazza, ha origine negli Stati Uniti e ne troviamo riferimenti già dall’inizio del 1800: nella letteratura cowboy si legge che i “boss jigger” fornissero “jiggers” di Whisky ai lavoratori immigrati irlandesi che stavano scavando canali nel nordest degli Stati Uniti. Ma sull’origine del termine ci sono diverse versioni. Alcuni testi fanno risalire l’origine del jigger al famoso “cocqueter”, portauovo, che Antoine Amédée Peychaud utilizzava per dosare il Sazerac nella sua farmacia a New Orleans. Nel “Bartender´s Manual” di Harry Johnson si trova la grafia Gigger, che probabilmente veniva usata per indicare l’oncia liquida. Ma è anche vero che il termine jig, che indica anche una danza, era utilizzato in epoca proibizionista per definire le distillerie clandestine. Jiggermaster era il piccolo albero delle navi della Royal Navy su cui veniva dato ai marinai un “jigger” di Rum o di Gin giornaliero. Dave Wondrich, invece, lega la parola jigger all’americana “thingamajig”, termine utilizzato per indicare uno strumento generico, un po’ come il nostro “coso”. Quello che sappiamo per certo è che solo con la miscelazione contemporanea il jigger diventa strumento essenziale grazie all’avanzamento delle tecniche e, soprattutto, a un maggiore attenzione nella gestione dei bar.

Free pouring o jigger?

Il primo utilizzo massivo del jigger lo vediamo nei primi cocktail bar con una contabilità e un management che non lascia spazio allo spreco. La diffusione del jigger in epoca contemporanea ha messo in evidenza anche la non completa efficienza della tecnica del free pouring. Il famoso “bubble-two”, che arriva con l’American Bar School, aveva dato la possibilità ai bartender di essere più veloci nella misurazione, ma non perfettamente precisi, essendo comunque una tecnica soggetta all’errore umano. Il Famoso “spill” può avere un valore economico abbastanza elevato, quando la mano non è espertissima, e quella mezza oncia in più può rovinare l’equilibrio di un cocktail.

Anche le scuole di bartending sembra non abbiano una linea comune quando si apre il capitolo sulle tecniche di versamento: alcune insegnano a versare a mano libera, altre il free pouring, altre ancora l’utilizzo del jigger, inserendo una nuova misurazione in ml, ancora più precisa delle once americane, che oggi si diffonde sempre di più soprattutto in Europa. Ma qual è la tecnica più corretta?

Come usarlo, quando e perché

In verità non c’è una tecnica giusta o sbagliata. Ogni bartender professionista dovrebbe essere capace di capire che tecnica utilizzare, in base al tipo di servizio richiesto dal locale in cui lavora. In un club probabilmente sarà più corretto dare priorità alla velocita, in un cocktail bar il jigger potrebbe essere necessario per bilanciare con precisione gli ingredienti che lo richiedono. Ma in un high volume bar con una proposta cocktail di livello potrebbe essere intelligente usare entrambe le tecniche. La mano libera invece la lascerei ai bartender con davvero molti anni di esperienza alle spalle.  Quello che si può affermare sul jigger è che in mani esperte è sicuramente lo strumento più efficace, perché è quello più preciso su cui si può allenare anche la velocita. È il migliore strumento per il controllo dei costi e può essere utilizzato anche in Paesi con diverse unità di misura per i liquidi: once, ml, proporzioni. Il jigger racchiude inoltre lo spirito democratico e aggregante del bar, privo di confini: se hai un jigger in tasca puoi fare lo stesso identico cocktail in qualsiasi parte del mondo.