Il terroir nei distillati

di Giovanni Campari | Terroir è una parola francese di uso universale, riferita perlopiù al mondo vitivinicolo il termine indica un’area ben delimitata, dove le condizioni naturali, la zona geografica e il clima permettono la realizzazione di un vino specifico e identificabile mediante le caratteristiche uniche della propria territorialità. Il terroir definisce però anche l’interazione tra più fattori, come terreno, disposizione, clima, viti, viticoltori e consumatori del prodotto. È una parola che non può essere banalmente tradotta in altre lingue con “territorio”, perché esprime un concetto molto più complesso: nell’idea di terroir sono incluse non soltanto le tipicità date dalla posizione geografica, dal suolo e dal clima, ma anche una serie di pratiche tramandate nel tempo e ormai divenute tradizione. Con terroir, quindi, si intende un concetto molto vasto, che riassume tutti i criteri che contribuiscono alla tipicità di un prodotto di origine agricola. Oggi il termine è utilizzato anche per altri prodotti agricoli: formaggi, salumi, olio  e credo che in futuro si possa arrivare a includervi anche i distillati agricoli e quelli che vengono prodotti seguendo un determinato processo, fatto di pratiche tradizionali tramandate nel tempo.


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Piante selvatiche o coltivate

Tutti i distillati provengono da materie prime vegetali, ossia piante che contengono una fonte di zuccheri in forma semplice o complessa, i quali attraverso delle operazioni eseguite dall’uomo vengono resi disponibili per una fermentazione alcolica da parte di lieviti, microrganismi unicellulari che li trasformano in alcol. Mediante l’uso di alambicchi, l’alcol è poi separato dall’acqua e concentrato. Questo è, in sintesi, il processo produttivo di ogni distillato, che parte sempre dalle piante. A differenza delle piante coltivate, quelle che crescono spontanee danno indubbiamente una fotografia del terreno, del clima e della stagione che hanno vissuto. Infatti, quando una pianta viene coltivata si cerca generalmente di portarla in una certa direzione, che spesso è quella di avere una maggiore resa delle parti che ci interessano: se ne favoriscono la crescita vegetativa e la produzione di frutti con acqua e fertilizzanti, la si pota per rinvigorirla e si estirpano le piante che crescono a lei vicina, per limitare la concorrenza nell’approvvigionarsi l’acqua dal suolo. Tutti questi interventi volti a favorire la crescita della pianta coltivata hanno un impatto, piccolo o grande a seconda dei casi specifici, sul metabolismo della stessa. Una pianta selvatica, invece, si trova in condizioni di sopravvivenza al pari delle altre piante spontanee: non ha nessuno che le porti l’acqua, che la protegga da parassiti o da altre piante infestanti, nessuno che la poti e che la fertilizzi. Una pianta selvatica cresce spesso in condizioni di stress, con la sola acqua che cade dal cielo e, perciò, deve lottare per sopravvivere. Queste piante esprimono non soltanto il territorio in cui crescono, ma soprattutto il clima e la stagione, gli oli essenziali, gli zuccheri e tutti gli altri metaboliti che la pianta ha prodotto in condizioni di stress sono il risultato della sua storia e di ciò che lei ha vissuto. Credo che non ci sia modo migliore di esprimere il terroir se non quello di utilizzare piante selvatiche: laddove è possibile recuperarle, esse hanno una identità davvero unica e mai perfettamente identica, come le stagioni e i tramonti, che ciclicamente si ripetono ma non sono mai gli stessi.

Il terroir nelle materie prime

Non tutte le piante raccontano il territorio allo stesso modo, ci sono differenze dovute al tipo di pianta e al distillato. Infatti, l’impatto che un cereale ha su un Whisky o una Vodka non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello che ha un’agave in un Mezcal o una botanica in un Gin distillato. Il grosso dell’aroma del Whisky proviene principalmente da tre fattori: il tipo di invecchiamento, la distillazione e la fermentazione, ma è la botte che gioca il ruolo di protagonista. La Vodka, invece, deve essere il più pura possibile, cioè deve essere distillata numerose volte su alambicchi a colonna nei quali si cerca di allontanare tutti gli aromi di fermentazione. In un Mezcal  l’agave gioca un ruolo fondamentale ed è assai importante conoscerne la varietà (ne esistono oltre 200 specie), così come il terreno e le condizioni di coltivazione o non coltivazione. Nella mia esperienza di assaggi di Mezcal artigianali ho ritrovato spesso più diversità tra Mezcal fatti a partire dallo stesso tipo di agave, cresciuta però spontanea in terreni e climi differenti, che tra due agavi di varietà diverse, ma coltivate nello stesso terreno. Un discorso analogo lo si può fare anche parlando dei Gin che usano botaniche in infusione. Infatti, la botanica coltivata verrà curata in modo tale da ottenere una buona resa produttiva a differenza di quella selvatica, che avrà avuto molto probabilmente delle condizioni di stress tali per cui anche la produzione di oli essenziali ne sarà influenzata: molti di questi arbusti crescono su rocce e terreni brulli, dove la mineralità del suolo si riflette fortemente nel profumo della pianta. In questi casi, quindi, si avranno maggiore concentrazione e ricchezza aromatica, ma rese produttive molto più basse.

Il terroir nelle pratiche di lavorazione

Quando il terroir si esprime nelle materie prime abbiamo sicuramente dei distillati molto interessanti, tuttavia, anche da una selezione di materie prime di alta qualità può derivare un prodotto non sempre eccellente. Seguendo la filosofia della cucina giapponese del “non intervenire” quando si ha tra le mani una materia prima eccellente, si dovrebbe fare il meno possibile, proprio per non corromperne il carattere originale. I distillati che derivano da materie prime di per sé molto espressive di un territorio vanno prodotti cercando di non coprire il loro carattere autentico.

Terroir e distillati, un connubio possibile

È difficile fare un elenco delle tipologie di distillati nei quali si ritrova più facilmente il terroir, perché, come detto, occorre valutare non solo la scelta delle materie prime ma anche il modo in cui vengono lavorate. I distillati di Agave, Mezcal, Tequila e i Sotol sono quelli nei quali è forse più facile incontrare il terroir, a patto che questo non venga coperto da affumicature troppo intense (nel caso dei Mezcal)  e i processi produttivi rispettino la tradizione, perché le agavi impiegano normalmente diversi anni per crescere, a maggior ragione quelle selvatiche e soprattutto i Sotol (che però non sono della famiglia delle agavi), le cui piante vengono raccolte a una età media di addirittura 15-20 anni.


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