Protocollo Manhattan

di Luca Tesser |  La storia del Manhattan, un classico della miscelazione, è tanto affascinante quanto confusa. Si tratta di uno di quei cocktail per i quali non si ha effettivamente un’origine ben precisa. Ovunque si legge che è stato creato nel 1874 al Manhattan Club di New York, durante un evento mondano organizzato da Jennie Jerome in onore di Samuel Tilden, allora governatore dello stato di New York e candidato alla presidenza. Gli stessi archivi del Manhattan Club di NYC ci danno testimonianza che il famoso cocktail sia stato creato proprio in quella circostanza, ma è la verità? Pare proprio di no.

Dobbiamo renderci conto che molti cocktail della seconda metà del XIX non hanno origini così chiare. Di molti non abbiamo alcuna notizia di chi li abbia creati, sappiamo solo che circolavano e venivano serviti in più varianti. Prima di Harry Johnson e di Jerry Thomas non esistevano pubblicazioni di ricettari. Il fatto che la ricetta del Manhattan compaia nel libro di Johnson nel 1882, Bartender’s Manual, non vuol dire certo che il cocktail sia stato inventato da lui.

In realtà alcuni cocktail sono frutto di un’evoluzione: nel caso del Manhattan si tratta molto probabilmente della trasposizione in un cocktail a base di whisky di un Martinez. La struttura dei due cocktail è pressoché identica, se si fa riferimento alle ricette più elaborate.

Nel ricettario di Johnson, infatti, si fa riferimento a un cocktail a base di Rye o Bourbon whiskey, vermouth, gum syrup, orange bitter o assenzio. Si tratta indubbiamente di un cocktail molto più morbido rispetto alla classica ricetta che unisce rye whisky a vermouth e ad Angostura bitter. Le proporzioni della ricetta di Johnson fra whisky e vermouth sono alla pari, esattamente come il Martinez. Concedetemi una riflessione: il fatto che un martinez si sia trasformato in un Manhattan non mi sembra affatto poco plausibile. Alla fine, basta sostituire il gin con il whisky.

La ricetta degli anni Venti

La ricetta che invece noi tutti conosciamo si consolida in particolare intorno agli anni Venti, quindi in pieno proibizionismo. La trasformazione è totale. Il cocktail diventa notevolmente più secco. Un motivo è il passaggio dal whisky americano a quello canadese, che lo sostituisce fra il 1919 e il 1933, a causa delle leggi proibizioniste. Ma la secchezza aumenta anche perché cambiano notevolmente le proporzioni in favore del whisky. Ci troviamo di fronte a un’evoluzione che porta il Manhattan a semplificarsi. La morbidezza e le note aromatiche si affievoliscono, spingendo verso un taglio più deciso e pulito. Si tratta di un percorso assolutamente al passo con i tempi: il gusto generale, infatti, fra la fine del XIX secolo e gli anni Quaranta del 1900 è assolutamente a favore del secco. L’evoluzione poi si stabilizza, cristallizzando la ricetta del Manhattan nel tempo.

Le personalizzazioni del Manhattan cocktail che caratterizzano il buon ritorno al passato favoriscono le ricette che privilegiano i whisky americani e i vermouth di qualità, riportando il cocktail ad avere un carattere più storico, ma anche donandogli una personalità più spiccata, ammorbidendolo e aprendolo a note aromatiche più complesse.


Harry Johnson’s Bartenders’ Manual 1882 – Manhattan

½ wine glass of whiskey

½ wine glass of Vermouth

1 or 2 dashes of gum syrup

1 o 2 dashes of curacao or absinthe

Lemon Peel


Manhattan Cocktail

2 parti Rye Whiskey

1 parte Vermouth Rosso

2 dashes Angostura Bitter


The Savoy Cocktail Book 1881 – Manhattan Cocktail

½ Vermouth Italiano

½ Rye Whiskey o Canadian Club