di Pauline Rosa | Che il Made in Italy sia sinonimo di tradizione, artigianalità e qualità, è risaputo. Tutti cercano e scelgono un marchio che sia una garanzia, che si tratti di moda, food, vino o spirits. Proprio nel campo dei distillati il nostro Paese contribuisce in modo significativo sia in termini di volumi e di performance. E non parliamo solo di prodotti, ma anche di persone: gli italiani sono protagonisti del settore hospitality e veri ambasciatori.
La chiacchierata con Paola Pavan, consulente nel settore spirits di base a NYC, è stata d’ispirazione. Gli spirits italiani sono amati tantissimo dal pubblico straniero, ma sono difficili da capire: nella comunicazione c’è una nota di difficoltà che ne limita la capacità di diventare mainstream ed essere conosciuti dal consumatore finale. In giro per i continenti, nelle grandi metropoli e nelle città principali, il livello di conoscenza dei nostri prodotti è più alto, ma in alcune zone “fuori dal mondo” il pubblico rimane attaccato, citando Verga, al proprio scoglio, seguendo l’ideale dell’ostrica e tenendosi stretto ai prodotti locali o, comunque, dei territori vicini.
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I prodotti
Il settore italiano degli alcolici ha radici profonde e una lunga storia di eccellenza e tradizioni, che si riflette in prodotti che vanno dai classici amari e Vermouth, ai liquori, grappe e altre tipologie di distillati come Gin e Bitter. Il Made in Italy nel settore degli spirits rappresenta non solo un comparto economico di rilievo, ma anche un simbolo di cultura e stile di vita, che continua ad affascinare e conquistare mercati internazionali.
La domanda da parte dei mercati globali per gli spirits italiani è in forte crescita. Nel 2023, l’export di bevande alcoliche italiane ha raggiunto cifre importanti, trainato soprattutto da Vermouth, liquori e grappe. L’espansione non riguarda solo i grandi marchi, ma anche produttori più piccoli, che si stanno affermando grazie alla qualità artigianale e alla capacità di raccontare una storia unica legata al territorio.
I principali mercati export includono gli Stati Uniti (mercato da sempre affascinato dalla “Dolce Vita”), il Regno Unito (dove vi è una forte presenza di connazionali e interesse verso i prodotti italiani anche in città minori rispetto a Londra), la Germania (Paese che beve essenzialmente birra e vino, ma con un crescente interesse verso i liquori tipici italiani), ma anche Francia, Cina e alcuni Paesi emergenti.
Secondo le statistiche, l’esportazione di spirits italiani è cresciuta di circa il 7% su base annua, con un fatturato complessivo che ha superato i due miliardi di euro. Questa tendenza positiva è sostenuta non solo dalla qualità dei prodotti, ma anche da una strategia di promozione che valorizza il legame con il territorio e la tradizione: quando si parla di comunicare un prodotto, facendo breccia su storytelling di impatto e condividendo emozioni e storie, gli italiani sono bravi, ma l’educazione è sempre un importante pivot per continuare a farsi spazio e superare la concorrenza. Citando Alex Martyniak, Direttore Trade Promotion della Camera di Commercio Italiana in Western Canada, molti Vermouth francesi, spagnoli o anche canadesi sono presenti sul mercato locale. Per poter entrare e far apprezzare i propri prodotti è necessario educare la gente.
Il Made in Italy nel mondo non è percepito come una cosa unica: quando si parla di moda, di macchine, di musica, opera e arte, è risaputo che ci sono tantissimi stili e correnti. L’arte italiana non è solo il Rinascimento, così come gli spirits italiani non sono solo le grappe. La chiave per far crescere ancora di più lo status all’estero è quello di essere dei bravi comunicatori, educatori e ambasciatori non solo dei prodotti, ma delle tradizioni e usanze. I professionisti del settore italiani sparsi in tutto il mondo ne sono l’esempio.
Dal Canada al Brasile
Per motivi di lavoro viaggio spesso all’estero, solitamente da sola. Mi piace visitare i cocktail bar locali, da quelli conosciuti a quelli meno noti, e molto spesso dietro al bancone si trovano connazionali, sia in grandi città che in zone remote (come Ylli Ferati in Alaska), in tutti i continenti. Il mio racconto sulla mixology Made in Italy parte dal Canada, un Paese che mi è sempre piaciuto. La città che visito più frequentemente è Toronto: cosmopolita, viva ed elegante. Qui ho incontrato Massimo Zitti, o più semplicemente Massi, un bartender romano che ha lavorato in vari Paesi, tra cui Inghilterra, Spagna e Canada, e che cinque anni fa ha aperto, a Toronto, il Mother, locale che è diventato un punto di riferimento in città. Nel 2022 Zitti è stato premiato come Canadian World Class Bartender of the Year e nel 2023 ha allenato il vincitore mondiale Jacob Martin. Massi apprezza e utilizza i prodotti artigianali italiani come amari e classici della tradizione, con un twist di innovazione.
Scendiamo negli Usa: c’è a chi piacciono il caos e il tran-tran della Grande Mela e a chi no. Personalmente, appartengo al secondo gruppo. Per rilassarmi durante le mie trasferte a New York City vado a trovare Antonello Iacca all’Old Fashion. Originario di Taranto, Antonello prese per la prima volta in mano uno shaker in tenera età, giocando con i suoi due fratelli. Giunto nella Grande Mela per vivere di persona quello che si vede nei film, si innamorò all’istante. Il locale è piccolo e l’ospitalità all’italiana si sente molto: una curata scelta di aperitivi e piatti italiani, con focus sulla tradizione pugliese. E il riferimento ai film non è un caso: l’Old Fashion è stato set di serie famose come Sex and the City e Law and Order.
Nel 2023 ho scoperto Miami, grazie alla promozione del Vermouth di Torino. Lì, tra luci, gente, file davanti al Sexy Fish, auto lussuose e tanta umidità, ho collaborato per la prima volta con Valentino Longo. Originario di Roma, Valentino ha mosso i primi passi in uno dei migliori bar per l’aperitivo della capitale: il De Russie. Dopo Roma, si è spostato a Londra, al Corinthia e al Ritz, e infine a Miami, dove lo scorso giugno ha realizzato il sogno di aprire il suo (aperitivo) bar, ViceVersa, una vera e propria simbiosi tra l’Italia e Miami. Nella cocktail list si possono trovare diverse poli-bibite (proprio grazie a Valentino è nato il mio amore verso “La Giostra d’Alcohol), con un twist tropicale, così come succede per la proposta food. Il tutto all’insegna della “semplicità complessa”, il mantra di Valentino.
A Miami c’è un altro bartender italiano: Marco Pastanella. Prima di arrivare al Bar Kaiju di Miami, attirato dal clima e dalla community italiana, Marco ha vissuto a Londra, New York, New Orleans e Charlotte. L’ho conosciuto a New York durante una guest in occasione di Bar Convent Brooklyn. Il fil rouge dietro alla drink list mi ha subito incuriosita: i mostri della tradizione folkloristica da tutto il mondo! Il “Maskinganna”, nome di un personaggio del folklore sardo, è un twist sull’Espresso Martini, completamente trasparente.
Dagli Stati Uniti ci spostiamo a Sud, per finire a Oaxaca, in Messico. Qui risiede Alexandra Purcaru, che da sette anni si divide tra il Messico e Parigi. Un libro di Oliver Sacks, Diario di Oaxaca, un racconto sulla diversità delle piante e delle felci locali, e un corso di cucina con uno chef locale l’hanno portata a Oaxaca. Con un background in Lingue e Letterature Straniere, la sua passione per il cibo e per gli ingredienti l’ha spinta ad aprire Selva, un cocktail bar dalle linee europee, in stile anni Venti, con velluto, ottone e specchi. La selezione dei distillati fa respirare l’italianità: la selezione di amari e Vermouth è da record in città. I fiori sempre freschi, il tono della voce che spiega i cocktail, la scelta dei bicchieri: sono tutti dettagli che fanno di Selva una chicca per l’ospitalità in stile italiano. Ancora più a sud, da Sub Astor, a San Paolo, in Brasile, troviamo invece Fabio La Pietra. Nel 2013, a 23 anni, si ritrova da Londra a San Paolo quasi per caso e, grazie a una guest, ci rimane. La situazione in Brasile supera le aspettative di Fabio: il Paese si rivela molto più produttivo e positivo di quello che si era immaginato. Dal 1800 molti connazionali si sono spostati in Brasile, nello specifico a San Paolo, una città dove gli italiani “si sentono a casa”. La diversità, fatta da prodotti locali, culture differenti e scene gastronomiche, permette di essere estremamente creativi, fondendo la tipicità italiana con il “diverso”.
In Asia e Australia
Cosa dire degli italiani in Asia? Tappa obbligata per incontrarli è Hong Kong, dove nel 2019 si è trasferito Lorenzo Antinori, già di casa a Seul. Nella Perla d’Oriente Lorenzo inizia a lavorare per Four Seasons, ma è però con il suo Bar Leone che riesce nel suo intento di celebrare la bellezza delle cose semplici: il bar offre un format “popolare”, che, come lui stesso dice, gli ha permesso di focalizzarsi sull’ospitalità, a suo avviso l’aspetto più importante della professione di bartender. Nel suo menù ha inserito dei twist on classic, una scelta per mantenere la creatività e offrire sempre qualcosa di nuovo ai clienti. Non dimentichiamo poi che anche il miglior bar australiano tra i 50 Best è opera di un italiano: Stefano Catino. Parliamo del Maybe Sammy di Sidney, locale con un format veramente particolare e giocoso, che fa immergere l’ospite, in modo allegro ma con classe, nel mondo dell’hospitality.
Da Parigi a Edimburgo
Concludo il tour tornando vicino a casa per parlare di due fratelli italiani a Parigi: Matteo e Giampaolo Braguti. Matteo ha iniziato a scoprire il mondo della miscelazione grazie al padre Luca (FRZ Lab) ed è approdato nella capitale francese grazie a Big Mamma, una catena di trattorie italiane molto note in Francia. Matteo è poi passato al Dirty Dick, di cui è responsabile da pochi mesi, dopo avere fatto la classica gavetta. È riuscito a portare nel menù di un cocktail bar conosciuto per lo stile Tiki un po’ di italianità, spingendo sui drink Made in Italy, con dei twist tropicali, e ampliando l’offerta di Vermouth e Bitter italiani.
Giampaolo Braguti lavora invece all’Hôtel Lutetia, situato nel 6eme arrondissement, dopo avere maturato diverse esperienze a Verona. Insomma, l’hospitality all’italiana si respira anche a Parigi. Come succede per il cibo, secondo Giampaolo, anche nella miscelazione è però importante “educare i local su cosa è veramente italiano e cosa no”.
Nel giro alla ricerca del Made in Italy non può, infine mancare, “la città”: Londra. La city può sembrare grigia, ma nella capitale inglese la mixology è più che colorata. Diverse volte all’anno frequento Londra e il suo charme non mi lascia mai indifferente, anche grazie a una community italiana del settore hospitality, che definirei una vera famiglia, pronta ad accoglierti e farti sentire a casa. A Londra i luoghi e gli amici del cuore sono parecchi, dai più ai meno conosciuti. La prima tappa è nel cuore di Soho, in Frith Street. Di fronte a una sbrilluccicosa insegna di Nando’s, vi è il Mimi Hotel. Appena entrati, si trova subito l’Henson’s Bar & Social, un elegante locale gestito dal calabrese Francesco Delfino. Francesco iniziò a muovere i primi passi nel mondo dell’hospitality sin da piccolo, lavorando in Australia, Asia ed Europa e studiando al Jerry Thomas di Roma, dove lavorò anche. A Londra, dove poi ha messo radici, gestisce con una genuina passione l’Henson’s, insieme a un team che vede altri italiani, come Dario Menichelli e Mattia Cavicchia. All’Henson’s si possono trovare grandi classici, ma anche rivisitazioni.
Altri due locali del cuore con un team prettamente italiano dietro al bancone nascono dall’intuito di Elon Soddu. Con un passato da DJ e produttore di musica elettronica, Elon arriva a Londra per inseguire il suo sogno di diventare sound designer per movie e videogame. Finisce poi al Savoy, che lascia nel 2021.
Il suo Amaro Bar è stata una piacevole scoperta dopo un’intensa giornata a Imbibe: qui si gustano cocktail molto piacevoli in un’atmosfera gioiosa e si può ammirare una curiosa collezione di bottiglie vintage curata da Elon. Nel 2023, Elon ha aperto poi le porte di Twice Shy, un piccolo bar sperimentale con tecniche moderne.
Se poi vogliamo fare un viaggio nella storia, il must è l’American Bar all’interno del Savoy. Lì, Angelo Sparvoli vi accoglierà con un servizio elegante e raffinato. Arrivato a Londra con l’obiettivo di lavorare all’American Bar, dopo otto anni, grazie al suo impegno e alla sua dedizione, ne è diventato Head Bartender. Come lui stesso afferma: “L’ospitalità italiana è considerata tra le migliori al mondo, e credo che ciò dipenda dal nostro contesto culturale, in cui la convivialità è un valore centrale”.
Un vero e proprio tempio della miscelazione è quello firmato da “The Maestro” Salvatore Calabrese: il Velvet, all’interno del Corinthia. Durante la bella stagione è aperta la terrazza con il format “Velvet Al Fresco”. Una piccola oasi inno all’italianità, con una cocktail list dedicata ai grandi classici firmati Campari Group. La pizza arriva in terrazza tramite un simpatico sistema “a carrucola”. Per l’esperienza after-dinner, il cocktail bar è invece al piano terra. Una volta entrati, ci si immerge in un’atmosfera ovattata, con luci soffuse e un piacevole accompagnamento musicale dal vivo. Dietro al bancone probabilmente trovate Luca Cicalese, Head Mixologist, giunto nella capitale nel 2016. Dopo alcune esperienze, tra cui l’American Bar del Savoy, è entrato nel team del Velvet by Salvatore Calabrese. Altro italiano al Velvet è il toscano Gregorio Soriente, trasferitosi a Londra dopo studi al Conservatorio ed esperienze in cocktail bar toscani. Gregorio ha scelto di posare la chitarra e ha iniziato a far carriera tra alcuni dei cocktail bar più rinomati della capitale, passando anche lui dall’American Bar.
Infine, ricordiamo che la miscelazione di qualità non si trova solo a Londra: i nostri connazionali sono presenti in altre città del Regno Unito. È il caso di Alex Palumbo, che inizia a lavorare a 16 anni nella capitale, per poi aprire il suo locale Hey Palu a Edimburgo, insieme alla moglie Rachel. A differenza di Londra, Edimburgo è un luogo a misura d’uomo, che ha però la mentalità di una grande città e possibilità finanziare meno pretenziose. Il locale è una piccola gemma italiana, dove si possono gustare aperitivi, amari e classici. Drink semplici, che però utilizzano ingredienti di qualità. I vari award ottenuti da Alex, tra cui Top 50 Cocktail Bar UK (top 5), 50 Best Discovery e Best Cocktail Bar in Scotland 2023 – Class Award, sono testimoni di un format e di una filosofia vincenti.
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