di Luca Tesser | Uno degli scopi principali in uno speakeasy è distinguersi pur rimanendo classico. Si tratta, per il bartender, di creare cocktail rimescolando le carte, quasi giocando di prestigio. Molte volte questa volontà di distinguersi passa attraverso la scelta di un prodotto di qualità, altre attraverso l’home made e il blending, ossia la creazione di un ingrediente unico per i nostri cocktail, realizzato unendo uno o più prodotti. Il classico per uno speakeasy come il J.Roger è qualcosa di sacro, che viene letto ed eseguito in maniera unica. Per noi è essenziale proporre cocktail mai banali, sempre e comunque con qualcosa di personale. Tuttavia, mentre quando si parla di “signature” il cocktail è unico per definizione, perché lo facciamo noi e nessun altro, quando si tratta di un classico, dare una firma distintiva al drink diventa più difficile.
Parola d’ordine: personalizzazione
Gli speakeasy sono stati il baluardo storico contro l’uniformità e la banalizzazione del cocktail ed è ovvio che all’interno di questo tipo di locali il classico debba essere eseguito all’insegna dell’unicità. Ci siamo ribellati a regole assurde, secondo le quali il tal cocktail doveva per forza essere fatto con quelle specifiche bottiglie: un Manhattan, ad esempio, doveva essere necessariamente eseguito con il Canadian Club e utilizzando Martini Rosso, aggiungendo qualche goccia di Angostura Bitter e una ciliegina al maraschino. La rivoluzione del ritorno al “vero” classico si è basata sulla molteplicità delle scelte e sull’idea di creare un cocktail in modo assolutamente personale, avvalendosi del sacrosanto diritto di utilizzare prodotti a nostra scelta per nobilitare il cocktail. Sarà poi il cliente a reputare migliore il nostro Manhattan rispetto a quello di altri.
Il consiglio per un buon blending
La scelta del prodotto è sicuramente fondamentale quando si vuole dare un tocco personale al classico, ma in questo modo a volte non è semplice far emergere dal cocktail un carattere unico. Anzi, in questi casi si rischia di sconfinare nel mondo del twist. Se scelgo di fare un Daiquiri con un Clairin, sto forzando il concetto: si tratterebbe di un twist, qualcosa che cambierebbe in maniera drastica il sapore del mio Daiquiri classico. Se, invece, utilizzo un blend di due Rum differenti, magari un Rum delle Barbados con una punta di haitiano, allora le cose cambiano e rimarrei fedele al classico, ma con una firma di gusto unica. Il blend ha, infatti, la funzionalità di lavorare sulle “note”, sulle sfumature del cocktail, connotandolo all’interno dei suoi canoni classici, ma rendendolo al contempo differente. Il blend, in sostanza, serve a farsi da sé il proprio ingrediente unico. In questo modo avrò il mio personalissimo Rye, magari tagliato con una piccola parte di Scotch, il mio Cognac, tagliato con una piccolissima parte di Rum giamaicano, e così via. Il mio consiglio è sempre quello di creare blend attraverso la ricerca della nota di sapore, della sfumatura, cercando un risultato che non sia troppo unico: insomma, i tagli vanno fatti in piccole percentuali, per far sì che il cocktail non sia completamente diverso da quello tradizionale.
Non è detto che il blend debba essere di prodotti completamente opposti come, ad esempio, un Rum delle Barbados tagliato con un haitiano. Il blend funziona perfettamente anche abbinando due prodotti complementari, come due differenti tipi di Rye Whiskey, magari una piccola parte di Rye più pungente e speziato, insieme a uno più tradizionale e “dritto”.
Da evitare è invece la manipolazione del prodotto con l’aggiunta di spezie o cordiali: non ha senso aggiungere spezie a un Vermouth, ad esempio. Semmai, sceglieremo un tipo di Vermouth rispetto a un altro o, al massimo, mescoleremo un Vermouth con un altro Vermouth per avere un prodotto più stabile e omogeneo.
Facciamo qualche esempio: per un Daiquiri classico la nostra base di Rum potrebbe essere formata da due differenti tipologie di Rum, uno delle Barbados come base al 90% e uno giamaicano ad alta gradazione al 10%. Otterremo così il nostro specifico Rum, da usare solo per il nostro Daiquiri, che donerà al nostro cocktail una sfumatura erbacea e una meravigliosa intensità.
Per un Vieux Carrè, invece, utilizzeremo un assemblato di Armagnac al 70% con un Cognac per il restante 30%, ottenendo per la parte Cognac del cocktail un prodotto non troppo intenso. Insieme ad altri ingredienti, questo mi consentirà di creare un cocktail più complesso e delicato. La personalizzazione del proprio classico diviene così infinita e la ricerca di quello che per noi è il cocktail perfetto diverrà ancora più interessante, aumentando all’ennesima potenza le variabili.