Il grande ritorno del Whisky inglese

L’approfondimento di Whiskyfacile.comUna delle domande che tutti gli appassionati di Whisky si sono fatti almeno una volta nella vita è molto semplice: perché per secoli Irlanda e Scozia si sono contesi il trono mondiale di produttori di Whisky e non si cita mai l’Inghilterra?

Poi, siccome mediamente queste curiosità vengono tra il sesto e il settimo dram, si dissolvono con una scrollata di spalle e si va avanti a sbevazzare, lasciando senza risposta una questione tutto sommato legittima.

Già, perché a ben vedere di orzo ce n’era parecchio anche a sud del Vallo di Adriano, l’acqua non mancava e soprattutto gli alambicchi erano alacremente in funzione per distillare Gin a bocca di barile. Dunque, perché diavolo non si produceva Whisky in Inghilterra?

La realtà è che in Inghilterra il Whisky veniva prodotto almeno dal 1636, quando la Worshipful Company of Distillers (il cui motto epico è “Drop as rain, distill as dew”, cade come pioggia, distilla come rugiada) ottenne una concessione per distillare vari tipi di spiriti, incluso il Whisky.

Un altro documento interessante è il reportage di Alfred Barnard, il primo giornalista-specialista del settore, che in The Whisky Distilleries of United Kingdom, edito nel 1887, racconta dettagli e aneddoti delle sue visite in 129 distillerie scozzesi, 29 irlandesi e 4 inglesi.

Due a Liverpool (Bank Hall e Vauxhall), una a Bristol (Bristol distillery) e una a Stratford, nell’Essex, la Lea Valley distillery, che fu l’ultima a chiudere nel 1903. Una produzione marginale, dato che solo Lea Valley e Bank Hall distillavano Whisky di malto, ma comunque presente.

distilleria inglese

La seconda domanda è inevitabile: perché tra fine Ottocento e inizio Novecento gli inglesi smisero di distillare orzo e grano e di fare Whisky? E la risposta è semplice: perché quel Whisky prodotto in Inghilterra veniva comunque mandato tutto in Scozia, per finire in una neonata categoria commerciale in grande espansione, quella dei blended. Trasportare il liquido a nord del Vallo era antieconomico e in quegli anni la Distillers Company Limited, la futura Diageo, decise di spostare in Scozia l’intera produzione.

La concorrenza dello Scotch era impossibile da contrastare. Da allora, gli alambicchi inglesi hanno semplicemente dimenticato il re dei distillati. E per 103 anni, non una singola goccia di Whisky è stata prodotta sotto l’insegna della Croce di San Giorgio.

Il rinascimento del Whisky inglese

Questo incantesimo è stato rotto nei primi anni del nuovo Millennio, prima in Cornovaglia, dove nel 2003 è stato messo in commercio il primo English Whisky da Hicks & Healey, poi nel Norfolk, dove nel 2006 la St. George’s distillery, aperta dalla English Whisky Company sulla strada che collega Cambridge a Norwich, è stata la prima nuova distilleria di Whisky ad aprire i battenti in Inghilterra.

Anticipando l’ondata di craft distillery globale, entrambe hanno scelto di utilizzare solo orzo locale e hanno puntato su artigianalità e territorialità prima che questi concetti diventassero trendy. Come spiega Abbie Nelson, fondatrice di Cooper King Distillery: “Ogni Whisky inglese racconta la storia di una comunità”. Un’impostazione “locale” che ha dato i suoi frutti e che ancora dura in anni di grande boom.

Sì, perché di boom è giusto parlare. Oggi le distillerie di Whisky attive in Inghilterra sono 56, dal North East fino all’estremo sud. A St. George’s, negli anni si sono aggiunte Adnams, Lakes, Cotswolds.

E poi Bimber, Durham, Yorkshire e così via. Qualche numero può dare un’idea più precisa: dal 2019 al 2024 il mercato del Whisky inglese è cresciuto del 189%, sforando il miliardo di sterline. Le distillerie possiedono ormai 50mila barili nei loro magazzini, nel 2023 hanno ospitato 250mila visitatori e il 40% del prodotto viene esportato. E si stima che la produzione – attualmente di 2,1 milioni di litri annui di puro alcol – cresca ancora.

Il Whisky inglese vive il suo rinascimento”, spiega Rob Patchett di Cotswolds Distillery. “Abbiamo la materia prima, tanto che lo Scotch ha sempre utilizzato il nostro orzo; abbiamo un clima simile; ma soprattutto abbiamo la fortuna di essere realtà piccole e dinamiche e di avere un disciplinare che ci consente di sperimentare”.

L’importanza del disciplinare

Nel 2023 è stata creata ufficialmente l’English Whisky Guild, un’associazione di categoria che raccoglie 24 produttori e altre aziende correlate alla produzione di Whisky, tutte rigorosamente inglesi. L’obiettivo è quello di ottenere il riconoscimento del Geographical Indication, ovvero la denominazione di origine, attraverso la definizione di un disciplinare che stabilisca regole di qualità: ogni fase della produzione e maturazione dell’English Whisky deve avvenire interamente in Inghilterra.

A partire dall’utilizzo di cereali inglesi e dalla maturazione all’interno di botti di rovere. In modo molto significativo e interessante, non ci sono cenni a un’età minima (per quanto nessun single Malt English Whisky dichiarato tale abbia meno di tre anni, esattamente come in Scozia, ma non di solo single malt si nutre l’Inghilterra) e anzi, si fa esplicitamente riferimento al fatto che “l’English Whisky è congegnato perché maturi rapidamente”.

Questo è perfettamente in linea con buona parte delle nuove distillerie, che negli ultimi anni stanno aprendo ovunque nel mondo, Scozia compresa. L’industria dello Scotch, con i suoi quasi due secoli e mezzo di storia ufficiale, ha dalla sua il privilegio del tempo. Imbottigliamenti con invecchiamenti importanti sono stati possibili grazie a stock profondissimi.

Le nuove distillerie, invece, devono lavorare e concentrarsi su tutto ciò che precede la fase dell’invecchiamento, arrivando a mettere in botte un new make il più aromatico e complesso possibile. Dunque, cura verso ogni aspetto della produzione, dalla scelta dei cereali ai tempi di fermentazione, dai lieviti utilizzati, che spesso recuperano la tradizione birraia britannica, all’alimentazione degli alambicchi.

Un panorama variegato di distillerie di Whisky

Per questo oggi il panorama del Whisky inglese è incredibilmente vario, più di quanto non lo sia quello dello stesso Scotch. Certamente il single malt è il focus principale, e a testimoniare la qualità del liquido sono le vittorie nel 2022 e nel 2024 del premio come World’s Best Single Malt ai World Whiskies Awards per The Lakes Distillery e The English Whisky Company.

Ma ci sono realtà come la Oxford Artisan Distillery (che da poco è diventata Fielden Distillery e nella proprietà della quale è entrata Diageo), concentrate sulla coltivazione sostenibile di varietali di grani antichi (segale, avena e orzo) con la collaborazione di un archeobotanico locale. Oppure ci sono la East London Liquor Company, distilleria londinese che ha fatto del rye Whisky il suo fiore all’occhiello, o la Dartmoor Distillery, che produce single malt utilizzando però un alambicco da Cognac.

O, ancora, la già citata Lakes Distillery, che sempre dalla Francia ha importato e riadattato il concetto di élevage: spostare il Whisky in maturazione di botte in botte, spesso più volte ogni anno, per limare ogni difetto in corso d’opera. C’è Bimber, microdistilleria della periferia nord di Londra diventata feticcio dei Whisky nerds, che produce lotti limitatissimi di single malt all’interno di un garage, usando orzo maltato a pavimento, con fermentazioni lunghe oltre una settimana a tini aperti, due minuscoli alambicchi portoghesi alimentati a fiamma diretta.

Ci sono le già citate Spirit of Yorkshire Distillery, che produce il single malt Filey Bay partendo dall’esperienza del birrificio, e c’è la Cotswolds, il cui new make è stato definito “liquid gold” sulla Whisky Bible del 2016, ed è stata nominata miglior distilleria del Regno Unito nel 2023, tanto da attirare gli investimenti del colosso Illva Saronno.

Uno stretto legame con il territorio

Se si possono trarre delle conclusioni, forse si può azzardare che l’English Whisky oggi punta tutto sulla connessione sul territorio, di cui diventa espressione autentica dal punto di vista agronomico, ecologico, culturale. Il secondo punto di forza è rappresentato dal generale rapporto qualità/prezzo, con Whisky tecnicamente perfetti a cui non si somma il sovrapprezzo del “nome” della distilleria. Il terzo, forse quello che ci piace più di tutti, è la varietà: diversi alambicchi, diversi stili, diverse tipologie di orzo, diversi barili. La sperimentazione permea l’Inghilterra come se fossimo nei secoli magici dell’Empirismo di Locke e Hume. Assaggiare per provare.