di Jacopo Lancerin | Il Gin è una bevanda spiritosa ottenuta mediante distillazione di ginepro in alcool di origine cerealicola con aggiunta di botanicals, ossia erbe, spezie, piante, radici e aromi utilizzati per dare unicità e particolarità al distillato. Proprio grazie a questi ultimi, negli anni il suo mondo è cambiato: dagli anni 2000 in poi c’è stato uno studio quasi ossessivo degli elementi aromatizzanti da parte di distillatori e produttori, che, per quanto poco, ne hanno rivoluzionato l’idea.
La storia: le prime bevande a base ginepro
Per capire l’evoluzione di questa bevanda, dobbiamo partire dall’inizio. Siamo nel 1100 d.C, ci troviamo in Italia, precisamente a Salerno, in un periodo in cui Salerno vantava la più grande scuola di medicina in Italia. Per la produzione di medicinali, era usuale inserire nei distillatori delle piante rinomate per le loro proprietà terapeutiche, tra cui il ginepro, noto antisettico e tonico, che tra l’altro cresce molto nella zona circostante. Era forse Gin? È molto probabile. Verso la fine del 1340 arriva in Europa la peste nera. Conoscendo le proprietà antidiuretiche del ginepro, le persone lo usavano in qualsiasi modo possibile per sfuggire alla peste. Ci sono quindi tante variabili che ci permettono di dire che gli Europei bevevano spiriti a base ginepro già nel XIV secolo.
Dal Genever al Gin Act
Fino a poco tempo fa si presumeva che l’invenzione dello Genever, distillato di frumento od orzo al gusto di ginepro, fosse attribuita al Dott. Sylvius. Manoscritti olandesi del XVI secolo fanno però riferimento a una bevanda chiamata Genever: siamo quindi certi che questa fosse facilmente reperibile nei Paesi Bassi prima dell’arrivo di Sylvius. Attorno alla metà del XVII secolo, molti olandesi vivono a Londra e nello stesso periodo gli inglesi hanno già abbreviato la parola Genever in Gin. Questi ultimi, che devono tornare ogni volta nei Paesi Bassi per recuperare la bevanda, cominciano a produrla e sorgono le prime distillerie a Bristol, Plymouth, Portsmouth e Londra. Nel 1680 Guglielmo III d’Orange, ovviamente per questioni “politiche”, vieta l’importazione di Brandy francese in Inghilterra. Nel 1702 la Regina Anna, cognata del defunto Guglielmo III, promulga una legge che consente la produzione di gin anche senza licenza: questo porta a una crescita altissima del consumo pro-capite. Ma nel 1736 la promulgazione del Gin Act ne proibisce sia la produzione senza licenza che la vendita di quantità inferiore a due galloni.
L’arrivo del London Dry Gin
Per difendersi dalla malaria, agli inizi dell’800 i soldati britannici in India consumano grandi quantità di acqua al chinino. Per renderne più gradevole il sapore, decidono di miscelare l’acqua al chinino con il Gin e di aggiungere zucchero e soda: nasce così il Gin Tonic. Gin e angostura, con aggiunta di acqua e chinino, è invece il drink preferito dagli ufficiali, che sarà presentato in Gran Bretagna alla Grande Esposizione di Londra nel 1862 con il nome di Pink Gin. Ma una svolta importante nella storia del Gin avviene un po’ prima, attorno agli anni Trenta dell’800, quando venne introdotto l’alambicco a colonna (conosciuto anche come Coffey Still o Distillatore Continuo), che permette la produzione di spiriti ad alta gradazione in modo abbastanza rapido e semplice, con il grande vantaggio di produrre spiriti puliti, con pochissime impurità. Grazie al distillatore continuo, alla fine del 1800 farà la sua apparizione il London Dry Gin, che porterà l’invenzione di cocktail come il Dry Martini Gin.
L’affermazione
Contemporaneamente, però, nei primi american bar, per i cocktail con ingrediente gin il bartender usa Genever, vista la somiglianza gustativa di questo con il whisky, distillato in voga in quel periodo in America, che però lascia spazio al gin con l’avvento dell’Old Tom Gin, un gin un po’ più dolce che si sposava bene con il vermouth. Il gin è molto più facile da reperire e diviene più apprezzato del whisky, anche perché non necessita di invecchiamento e costa meno. E anche dopo il proibizionismo il gin resta in auge, fino agli anni Sessanta, quando la vodka, ottima spalla alcolica e adatta a ogni drink, lo relega negli angoli bassi delle bottigliere. Sarà così fino ai primi anni 2000: siamo in Spagna, Paese che sta vivendo un’onda incredibile, con la nascita di nuovi ristoranti stellati e con la cucina spagnola che comincia a essere tra le migliori in tutto il mondo in quanto a sperimentazione. Nei grandi ristoranti si bevono “grandi” vini rossi e i bicchieri disponibili sono i balloon. Ma attenzione: qui fa caldo, fuori e in cucina. Bere vino rosso, per gli chef, non sembra un’ottima idea, quindi, perché non utilizzare i balloon per i Gin Tonic, inserendo elementi gastronomici all’interno? Bacche di ginepro, rametti di piante officinali, scorze di agrumi … Ed è allora grazie alla Spagna che nasce il Gin Tonic contemporaneo. Ed è da qui che nasce l’esigenza di creare prodotti con una storia, con un legame con il territorio e con dei botanicals selezionati, che stanno ricoprendo un ruolo fondamentale nella produzione del gin.
Sempre più botanicals
Insomma, da ginepro distillato alla buona in un miscuglio di segale e frumento, siamo arrivati a distillati di due, tre, dieci, venti, quarantasette botanicals, anche se c’è chi ne aggiunge solo una al ginepro, con lo scopo di esaltare le singole botaniche e semplificare il lavoro del barman, mantenendo predominante la parte gineprina. Il primo produttore a interagire con questo nuovo mondo del gin sembra sia Hendrick’s, ponendosi in una fascia di prezzo medio-alta e proponendo per primo il suo famoso perfect serve: Gin tonic con la fetta di cetriolo. Giusto per citarne qualcun altro, aggiungiamo Gin Mare, il gin spagnolo distribuito da Compagnia dei Caraibi, caratterizzato proprio dal Gin tonic in balloon con un rametto di rosmarino come garnish. E uno dei Paesi più in rilievo per il “Gin Contemporaneo” è proprio l’Italia, che oltre a vantare la più grande produzione di ginepro al mondo, ha anche la maggior biodiversità e può, quindi, utilizzare tantissimi prodotti autoctoni per la realizzazione di questo distillato, donandogli un’importante impronta territoriale. Negli ultimi anni, infatti, i numerosi nuovi e vecchi produttori si sono sbizzarriti nella produzione di gin, selezionando botanicals caratteristici della loro terra. Possiamo dire quindi che, i contemporary gin, sono gin che si contraddistinguono per l’uso di botaniche non tradizionali.
Botanicals e innovazione sono sinonimi?
Questo è un quesito che mi son posto negli ultimi anni, pensando da barman, da Brand Ambassador e da “produttore”: dapprima nello studio dei botanicals e poi nella distillazione, dobbiamo ricordarci che il sapore predominante del Gin deve essere il ginepro. Troviamo prodotti (senza offendere nessuno, sono opinioni personali) nei quali la parte di ginepro è quasi inesistente e si sentono solo gli aromi, che dovrebbero essere secondari. Perché lo si fa? Per moda? Per rendere il Gin accessibile a tutti a livello gustativo? Oltretutto, in un mercato così saturo, c’è realmente bisogno di spingersi oltre “innovando” questo prodotto, rendendolo quasi irriconoscibile? Concedetemi questo dubbio. Per molti è fondamentale rimanere fedeli al gin e alla sua storia, senza accantonare il ginepro a discapito delle botaniche in aggiunta. Arriviamo dunque a un punto in cui la categorizzazione di questi “Contemporary Gin” risulta difficile e ci chiediamo, soprattutto, se possono essere ancora chiamati tali o se in futuro possano essere definite altre categorie. Ad ogni modo, dalla sua creazione, questo distillato non ha mai avuto così tanto successo come in quest’epoca e lo si deve anche grazie a molti maestri del mondo del beverage che hanno permesso di ridisegnarlo, presentando nuovi tipi, come dicevo prima, quasi impossibili da categorizzare, lavorandoli ad hoc e con grande fantasia e innovazione in molti drink.