di Fabiana Canella |
Per capire che cosa succedesse nei bar o, meglio, nei Qui si beve italiani, nei primi anni del Novecento bisogna comprendere il contesto storico-culturale che stava cambiando le sorti del nostro Paese. Siamo nel 1909 quando il poeta Filippo Tommaso Marinetti espone il Manifesto del Futurismo, dando inizio a quello che sarà il movimento letterario, artistico, musicale più avanguardistico d’Europa. Sono anni di grandi mutamenti, durante i quali le nuove scoperte nel campo tecnologico e dei mezzi di comunicazione, dal telegrafo alla radio, dagli aeroplani alle cineprese, iniziano a cambiare completamente la percezione della distanza e del tempo. Le strade si iniziano a riempire di automobili e di luci artificiali e si inizia ad avvertire una sensazione di futuro. I Futuristi, ispirandosi al dinamismo della vita moderna e guidati da una totale fiducia nel progresso, proponevano una corrente artistica, ma anche uno stile di vita, che abbracciava tutti gli ambiti della quotidianità, in totale rottura con il passato, e che celebrava la modernità, la velocità e il dinamismo.
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L’Arte futurista e l’Ottava arte: la cucina
Il movimento è anarchico, provocatore, interventista e innovativo in ogni sua forma di espressione. Pensiamo a Umberto Boccioni e Giacomo Balla nella pittura con la loro esaltazione del movimento, ma anche ad Antonio Sant’Elia nell’architettura con la sua Città Nuova, ai suoni sperimentali e dissonanti della musica di Pretella, ai rumori di Russolo e al teatro plastico di Fortunato Depero. È proprio quest’ultimo ad affermare che “un artista senza minimamente sminuirsi può manifestare il proprio senso artistico anche in cucina”. I Futuristi, famosi per le loro “serate” di gozzoviglie, nel Manifesto della cucina futurista, propongono una nuova cucina “atta a scatenare allegria nei cuori più malinconici e ad intensificare la bellezza plastica scultorea delle vivande”. Avevano fatto proprio il pensiero di Ludwig Feuerbach secondo cui “siamo quello che mangiamo” e lo stesso Marinetti sostiene che bisogna “mangiare con arte per agire con arte”.
Mangia con arte per agire con arte
Questa svolta artistica della cucina in un Paese così tradizionalista com’è l’Italia quando si parla di enogastronomia, smuove l’opinione pubblica e apre le porte alla gastronomia moderna. Oltre all’eliminazione della pastasciutta, il Manifesto della cucina futurista predica l’abolizione della forchetta e del coltello, dei condimenti tradizionali, del peso e del volume degli alimenti; auspica la creazione di “bocconi simultaneisti e cangianti”, invita i chimici a inventare nuovi sapori e incoraggia l’accostamento ai piatti di musiche, poesie e profumi. Alla Taverna del Santopalato di Torino il menu è considerato un’opera d’arte e, durante i banchetti, la proposta è sempre innovativa e provocatoria: una su tutte, il menu al contrario, che parte da digestivo e caffè per finire con aperitivo e antipasto. In questo panorama culinario viene coinvolta anche la miscelazione, con un desiderio di andare oltre alla classica bevuta liscia, che dominava i momenti di convivialità dell’epoca.
La miscelazione degli anni Venti e Trenta
Che cosa si beve in Italia in quegli anni? Bere alcolici è una pratica alquanto diffusa, per evadere da un contesto di guerre e insoddisfazione che colpisce soprattutto gli strati più bassi della società. Il consumo pro capite di vino è triplo rispetto ad oggi e iniziano anche a moltiplicarsi i momenti di convivialità. La televisione non c’è ancora e la gente si riversa nei bar la sera per bere amari lisci, Vermouth, Fernet, rabarbaro, Bitter, Brandy, maraschini e grappe, al massimo allungati con il seltz. È l’epoca di diffusione dell’Americano, che piano piano inizierà a trasformarsi in Negroni. All’estero sono gli anni in cui iniziano a scrivere il Savoy Cocktail book e ci sono già i grandi classici della miscelazione, come la Bartenders Guide di Jerry Thomas. Ma in un’epoca patriottica come questa, si fa fatica a guardare oltralpe e oltreoceano, anche se i futuristi vogliono superare la bevuta liscia tipica italiana incorporando le bevande all’esperienza della cena, rendendola, perché no, anche più allegra.
Le poli-bibite
La principale e più importante innovazione dei Futuristi nel bere miscelato è l’abbandono del dolce-acido/dolce-amaro ereditata dai Punch anglosassoni, a favore del dolce-salato/dolce-piccante, che aprirà le porte anche agli abbinamenti cocktail/cibo. Sono i primi a pensare alle garnish come parte integrante del cocktail: pensiamo alle loro ostie con acciughe, ai datteri arrotolati nel prosciutto crudo, ai peperoncini ripieni di parmigiano, tutti usati come decorazioni funzionali all’economia gustativa ed emozionale del cocktail. Con le loro poli-bibite – sì, perché usare il termine anglosassone cocktail non era ammesso nel Ventennio – i Futuristi vogliono riportare l’allegria nei banchetti, proponendo per la prima volta delle bevande che coinvolgono tutti e cinque i sensi, abbinandole con i profumi e con la musica, per dare un vero e proprio effetto “wow!”. Un’altra particolarità riguarda il modo in cui le poli-bibite sono classificate: non più con la classica differenziazione all-day, pre-dinner e after-dinner, ma in base all’azione da compiersi dopo la bevuta. Abbiamo così la poli-bibita Guerra in letto, che ha una funzione stimolante e fecondatrice, le Inventine, che servono per avere idee nuove, le Snebbianti, pensate per liberare la mente da qualsiasi dettame morale ecc. I Futuristi propongono le loro misture per la prima volta in contenitori non convenzionali, sono i primi a usare il ghiaccio come bicchiere e a ghiacciare i succhi per ottenerne cubetti gelati. Insomma, se si ha modo di studiare la miscelazione futurista, si scopre che tante cose che oggi consideriamo innovative, erano già state pensate proprio da loro.
Il manifesto del miscelatore futurista
I futuristi non scrissero mai un vero e proprio manifesto della loro miscelazione, forse perché considerata un’appendice della loro cucina, ma se volessimo riassumere le regole di un cocktail futurista potremmo descriverlo così: la poli-bibita non ha decorazioni inutili, ma un’unica decorazione suggestiva e determinante che crea sorpresa e coinvolgimento sensoriale; deve essere preparata velocemente da una mente scevra da preconcetti, senza inutili processi teatrali; il miscelatore futurista versa a mano libera, non usa jigger, contagocce o metal pour e ogni poli-bibita è diversa dall’altra proprio grazie alla maestria dell’artista che la prepara, perché deve essere una creazione artistica, unica e irripetibile; la poli-bibita deve essere preparata con prodotti locali e italiani, i prodotti stranieri sono inclusi nelle ricette solo quando manca l’omologo italiano.
La miscelazione futurista è stata sottovalutata per molto tempo ma è indubbio che abbia portato una ventata di innovazione. Il consiglio per qualsiasi bartender alle prime armi è di approfondire lo studio di questo periodo sul libro La miscelazione futurista di Fulvio Piccinino: scoprirà come quante cose che vediamo oggi nei nostri moderni cocktail bar, sono nate proprio nei Qui si beve futuristi.