di Luna Maller | Si pensa comunemente che gli speakeasy siano nati durante il proibizionismo americano, tra il 1920 e il 1933, ossia nel periodo successivo all’entrata in vigore del XVIII emendamento. In realtà, i locali di questo tipo esistevano già da prima: erano bar privi di licenza, dunque illegali e nascosti. Il termine speakeasy, letteralmente “parlare piano o sottovoce” si riferiva al fatto che occorreva far attenzione a citare questi locali, proprio perché segreti. Quando negli Stati Uniti i bar che vendevano alcolici furono messi fuorilegge, gli speakeasy proliferarono: ne nacquero moltissimi, ovunque ci fossero spazi non in vista pronti ad accogliere attività di questo tipo. Il più delle volte si trattava di seminterrati, in vie anonime delle città, non avevano nessuna insegna, non erano indicati in nessun modo: erano, in sostanza, ambienti nei quali si doveva essere introdotti. In realtà, non era esattamente un mistero dove si trovassero e non era nemmeno così difficile accedervi, tanto che, spesso, anche le forze dell’ordine ne erano frequentatrici assidue, a conferma che il proibizionismo non era gradito alla maggior parte della popolazione, inclusi coloro che avrebbero dovuto far rispettare le restrizioni. Gli speakeasy erano gestiti in larga parte dal crimine organizzato, che si occupava di controllare l’intera filiera degli alcolici: li importavano, li distribuivano e li vendevano al pubblico. In alcuni casi, inoltre, controllavano anche la stessa produzione clandestina. Gli affari in questo settore fruttavano molti dollari e consentirono al crimine organizzato di diventare una potente organizzazione: personaggi come Al capone o Lucky Luciano dovevano la loro fortuna proprio al business illegale degli alcolici.
Il passato
Al tempo, gli speakeasy erano di vario genere e per tutte le tasche. Quelli per persone meno abbienti erano molto semplici: segatura per terra, qualche sgabello, tavoli e un banco realizzati con qualche asse di legno, dove bere distillati di qualità terribile. Quelli per i ceti più agiati erano locali lussuosi, con arredamenti sontuosi. Qui si recava l’élite in cerca di divertimento e anche la qualità del bere era migliore: lo Champagne scorreva a fiumi, si potevano trovare Whisky, Cognac e cocktail ben eseguiti, sebbene le bottigliere dell’epoca non fossero fornite come quelle attuali. Insomma, si trattava di luoghi affascinanti, dove si andava per bere e ascoltare musica e non c’era minimamente, da parte degli avventori, la sensazione di essere parte di qualcosa di sbagliato o illegale. Il Whisky proveniva principalmente dal Canada, Champagne e Scotch entravano di contrabbando da ogni porto degli Stati Uniti, il Rum arrivava illegalmente dai Caraibi e il Tequila dal Messico. Molti locali divennero famosi e poterono godere di una certa protezione, che evitava loro particolari problemi con la legge. E, se proprio fosse sorto qualche problema, si sarebbe prontamente trovata una soluzione spostando l’attività in un’altra location.
Il presente
I locali descritti sopra erano molto differenti da quelli che oggi identifichiamo come secret bar. Per cominciare, oggi non parliamo di locali nascosti e illegali, ma di bar che, in molti casi, non sono nemmeno troppo difficili da scovare. È curioso il fatto che gli odierni speakeasy potrebbero essere paragonati più ai saloon delle grandi città americane del XIX secolo che non ai loro omonimi degli anni Venti: dal punto di vista dell’ambiente ma anche, e soprattutto, per la qualità dell’offerta di drink. Lo speakeasy oggi è il regno assoluto dei distillati di qualità, dell’home made e dei cocktail dimenticati: guai a chiedere Mojito, Spritz e Long Island! Al secret bar si bevono cocktail d’altri tempi come Vieux Carrè, Sazerac e Martinez, sebbene anche la miscelazione moderna sia entrata prepotentemente in questo tipo di locali, affiancandosi al twist on classic. Niente di male, intendiamoci, purché non si arrivi all’esasperazione, perché i cocktail di uno speakeasy dovrebbero mantenere una sorta di sentore classico, un legame con il passato, proprio per restare fedeli all’idea stessa di questo genere di bar.
Locali per chi ama la miscelazione
Sulla concezione di speakeasy c’è da fare un po’ di chiarezza. Spesso il termine non ha un significato molto chiaro non solo per i clienti, ma anche per i titolari. Di certo, uno speakeasy non è un locale per tutti e questo dovrebbe essere preso in considerazione da chiunque vi si avvicini: il fatto che il locale non sia in bella mostra su una via principale, che si debba suonare un campanello per entrare o che si debba conoscere una parola d’ordine per accedervi denota piuttosto chiaramente che si tratta di un locale specializzato, pensato per chi ama un certo tipo di miscelazione. Il cliente che va in uno speakeasy per chiedere un Vodka Lemon o una Caipiroska alla fragola o, peggio ancora, un caffè o una tisana e si lamenta per non essere stato accontentato, evidentemente ha sbagliato posto. In uno speakeasy non si fa tutto e non si accontenta ogni richiesta: non si tratta di mancanza di ospitalità, ma semplicemente di coerenza con il tipo locale che si è deciso di avviare. E se il titolare, invece, acconsente a soddisfare ogni richiesta, allora l’errore è suo: non doveva aprire uno speakeasy, evidentemente, ma un bar-caffetteria. Uno speakeasy dovrebbe essere un locale con uno stile ben preciso, in termini sia d’atmosfera sia di miscelazione, ma purtroppo non è sempre così: non stupitevi, quindi, se in locali che si definiscono speakeasy troverete gente scatenata a ballare musica elettronica o a bere Vodka fragola e Red Bull!
L’unicità come filo conduttore
Anche dare una definizione univoca di speakeasy, però, non sarebbe corretto. Ci sono tante idee sbagliate sugli elementi che fanno di un locale uno speakeasy: la convinzione che in tale tipo di locali si debba per forza avere una parola d’ordine per l’accesso, che l’ingresso debba avere una sorta di insegna di copertura, dal finto barbiere all’officina, dal negozio di fiori alla pasticceria, che il locale si debba trovare in uno scantinato, che sia possibile fumare all’interno o che ci sia musica dal vivo o spettacoli. In realtà, ogni speakeasy è unico, può contemplare o meno uno o più di questi elementi. Proprio questa, del resto, è la particolarità degli speakeasy: ogni locale ha una propria peculiarità e un proprio stile, che lo rende completamente differente da un altro.
Dove trovare i migliori speakeasy italiani
Ed eccoci a svelare il mistero di alcuni dei migliori speakeasy d’Italia, senza però raccontare troppo, perché uno speakeasy va vissuto come esperienza personale e, soprattutto, il segreto va mantenuto.
Partiamo da Milano, dove il 1930 spicca per qualità e atmosfera. Non cercatelo su qualche motore di ricerca: via e numero civico non vi verranno svelati e vi potrete accedere solo se introdotti. Attraverso un’anonima bottega, da una piccola porta verrete catapultati in un raffinato speakeasy.
A Genova, nell’intricata anima della città, troverete il Malkovich. Si entra passando da una hamburgeria e si esce attraversando un negozio di barbiere. Il locale è intimo, ricerca e qualità della miscelazione sono di casa e il filo conduttore dell’esperienza è il cinema d’autore, in un’atmosfera perfettamente sospesa fra passato e presente. A Parma c’è il J.Roger, che si presenta con ingresso a chiamata. Suonate il campanello e godetevi lo spettacolo: anche qui l’atmosfera è perfetta, luci soffuse, velluti, musica e cocktail danzano all’unisono per lasciare un segno profondo a chi è ben disposto a far parte di questo luogo sospeso nel tempo. Restiamo in Emilia per proporre due locali a Modena e a Bologna. Il Cotton Club di Modena è un vero e proprio tempio della miscelazione in stile speakeasy. Regno del twist on classic affiancato da una miscelazione all’avanguardia, il locale punta molto anche sulla musica dal vivo, soprattutto jazz e blues. Un’impressionante selezione di spirits è emblematica della cura e della passione che si respirano nel locale. A Bologna c’è invece il Donkey, che sotto le sue luci soffuse è un simbolo di eleganza, raffinatezza e intimità. Vi si entra solo mostrando una tessera e al suo interno ci si può muovere tra diversi ambienti, elegantemente costruiti in uno stile fra il classico e l’esotico.
Elegante e sontuoso è il Rasputin di Firenze. Qui, fra tessuti preziosi, mobili d’epoca e cocktail che sono un vero monumento alla classicità, la selezione di distillati è infinita e a regnare incontrastato è sua maestà il Whisky. A Roma troviamo il padre di tutti gli speakeasy d’Italia: il Jerry Thomas. L’atmosfera qui è unica e per chi ama questo genere di locali una visita è d’obbligo: siamo nel luogo dove tutto ebbe inizio, regno del twist on classic e vera e propria meta di pellegrinaggio degli appassionati. Chiude la rassegna L’Antiquario a Napoli, un luogo prezioso, con un non so che di sacro e inviolabile, che ha la capacità di entrare nell’anima di chi lo scopre. La miscelazione de L’antiquario è un perfetto equilibrio fra sacro e profano, classico e moderno. L’atmosfera è unica, e accoglienza e servizio sono perfetti.
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