di Luna Maller | Quando si parla di cocktail si tende troppo spesso a considerare il classico come qualcosa di banale. Tutti impazziscono per le proposte signature, senza chiedersi se il signature sia veramente qualcosa di originale. Ed è comprensibile, dal momento in cui i classici immediatamente riconoscibili dalla maggior parte delle persone non sono tanti. La realtà è che nella maggior parte dei casi il signature altro non è che un twist più forzato su qualcosa di preesistente. Del resto, si potrebbe tranquillamente affermare che la maggior parte dei cocktail siano stati creati fra la metà del XIX secolo e i primi anni Trenta del XX e che la maggior parte di questi “classici” siano essi stessi dei twist su qualche altro cocktail.
Twist o signature?
Oggi il gioco si è fatto sicuramente più raffinato e complesso e spesso nel signature il cocktail da cui proviene la struttura diventa quasi impercettibile. Nella carriera di qualsiasi bartender solo una manciata di cocktail si potrebbero definire come veramente originali, ossia si potrebbe dire che non hanno nessuna relazione con qualche altro cocktail. E non c’è nulla di male perché questo è esattamente il mestiere del bartender o, se preferiamo, del mixologist. Del resto, il lavoro creativo proviene dal vissuto precedente, costruito con anni di esperienza e di studi. Ecco perché il signature non è null’altro che un twist più elaborato. Se prendo un semplicissimo Manhattan e aggiungo dello Sherry e qualche goccia di Assenzio, sostanzialmente ho ceato un twist sul Manhattan e lo dichiarerò, chiamando il cocktail XY Manhattan o Pedro Manhattan, con riferimento allo Sherry Pedro Xemenez. Le cose cambiano totalmente quando vado ad agire in maniera più approfondita sulla struttura del cocktail. Tenendo come esempio sempre il Manhattan, quando al posto del Rye utilizzo del Genever, poi dello Sherry oloroso al posto del Vermouth e, ancora, aggiungo una piccola parte di liquore alla genziana e finisco con una vaporizzazione di Assenzio, creo un signature che nulla ha più a che fare con il Manhattan, sebbene il punto di partenza sia comunque quel cocktail. Possiamo affermare che è quasi sempre la struttura del cocktail classico a sostenere un signature, anche se non c’è attinenza con il cocktail da cui è partita l’idea, sia in termini di ingredienti che di proporzioni e perfino di tecnica. Ecco perché la conoscenza del cocktail classico è determinante anche per chi si occupa principalmente di miscelazione moderna: è sostanzialmente sulla base di quelle matrici culturali e di struttura che si regge la miscelazione moderna stessa.
Facciamo un esempio con un altro cocktail per rendere più chiaro il concetto del rapporto fra classico, twist e signature: il Paloma. Attraverso l’esperienza, possiamo trasformarlo in un non scontato signature, mantenendone addirittura gli ingredienti. Innanzitutto, potremmo cambiare la tecnica e adottare la shake and strain. Manteniamo il Tequila e il succo di lime, usiamo il sale sottoforma di Salt Syrup, sostituiamo la soda al pompelmo con succo di pompelmo rosa con una puntina di Maraschino. Shakeriamo il tutto e versiamo una coppetta bella ghiacciata: avremo così un Paloma trasformato completamente nella sua forma, ma non negli ingredienti. È un twist? No, è tutt’altro, ma il rimando al Paloma resta evidente. È chiaro, invece, che se sostituisco il Tequila con qualcos’altro del nostro Paloma iniziale non rimarrà nemmeno il ricordo.
Miscelare facendo tesoro del passato
Insomma, tutto è twist e dal twist alla trasformazione in signature il passo è breve. Proprio qui si trova il segreto della miscelazione di alto livello, che è sempre ispirata dal passato. Il mixologist è sostanzialmente un’artista che crea qualcosa di nuovo, ma è cosciente che quel nuovo non può che provenire dall’esperienza e dalla conoscenza del passato. Così come Picasso sapeva perfettamente che il suo cubismo era l’evoluzione dell’impressionismo, o i primi musicisti Rock & Roll sapevano che la loro musica veniva dal Blues e dalla musica black. Vero è che nel processo creativo il rimando al passato e all’esperienza è, spesso e volentieri, inconscio: quando si tratta di sapori, infatti, subentrano le sensazioni che proviamo e ci possiamo trovare a replicare un gusto senza ricordarci con esattezza quando e dove lo abbiamo provato. Eppure, lo rievochiamo, mescolandolo con qualcos’altro in maniera pura e istintiva. Proprio questo è il momento in cui si manifesta la meraviglia del mestiere del bartender, il momento in cui l’esperienza, l’incoscienza, il gusto e il vissuto si combinano, per creare qualcosa da condividere.
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