di Luca Tesser | Quando si pensa alla miscelazione caraibica e tiki, erroneamente, si pensa a un tipo di miscelazione autoctona, come se i più famosi cocktail con queste caratteristiche facciano parte della cultura dei Caraibi o della Polinesia. In realtà non è proprio così. Le storie dello stile caraibico e del Tiki sono diverse fra loro, ma corrono parallele e hanno in comune il voler manipolare quell’attrazione per l’esotico di cui è permeata la cultura americana del Novecento.
Cuba e gli esordi della miscelazione caraibica
La storia di Cuba e il suo rapporto con gli Stati Uniti la dicono lunga su come la miscelazione caraibica si sia evoluta e sul perché i suoi più iconici cocktail siano diventati in seguito conosciuti in tutto il mondo. Gli interessi americani sull’isola sono andati crescendo dalla fine del XIX secolo, hanno toccato l’apice negli anni Cinquanta con Fulgencio Batista, che a fasi alterne ha governato l’isola dal 1933 al 1959, e si sono bruscamente interrotti con l’arrivo di Fidel Castro.
Il primo protagonista della storia della presenza americana a Cuba è la Fruit Company, una delle prime grandi multinazionali statunitensi che costruisce con l’isola un rapporto molto stretto. Le piantagioni della Compagnia hanno un enorme valore a Cuba e gli interessi della Fruit si mescolano alla vita politica locale. Il cocktail caraibico e cubano per eccellenza, il Daiquiri, nasce proprio per merito di un ingegnere americano che lavora per la Fruit Company e le vite stesse del Presidente Fulgencio Batista e della famiglia Castro si intrecciano con la multinazionale, i cui interessi sull’isola rendono Cuba una sorta di feudo commerciale americano. Le abitudini americane si impongono sul tessuto sociale cubano: all’Havana nascono club americani, i bar negli hotel impongono un servizio “all’americana” e il cocktail, così caro agli americani, diventa un elemento essenziale. La miscelazione classica soddisfa quindi la presenza americana all’Havana, ma, sul palcoscenico dell’industria dell’intrattenimento, si trova a interagire e a mescolarsi con un altro protagonista dell’isola: il Rum. Dalla contaminazione nascono il Cuba-Libre, il Moijto, il Daiquiri, la Piña Colada.
Dal business della mafia alla rivoluzione castrista
La mafia italo-americana aveva da tempo puntato gli occhi su Cuba e, in particolare, sull’Avana: il progetto era quello di trasformarla in una sorta di Montecarlo dei Caraibi. Entra così in scena il secondo protagonista di questa storia: Meyer Lansky. Dagli anni del proibizionismo la mafia aveva già un rapporto stretto con l’isola caraibica: da qui arrivava il Rum che veniva fatto entrare illegalmente negli Stati Uniti. Sul finire degli anni Trenta l’interesse della malavita organizzata verso Cuba cresce sempre più grazie a Meyer Lansky, appunto, che insieme a Lucky Luciano e Bugsy Siegel è ai vertici dell’organizzazione. In pochi anni Lansky fa sì che la mafia agisca come una multinazionale, portando le più importanti famiglie americane a investire a Cuba e a fare affari, trasformando L’Avana in una capitale turistica dove hotel, casinò, night club e, ovviamente, tutte le attività illegali fossero di sua proprietà. Il business tanto sognato da Lansky ha solo lati positivi: il denaro esce dagli Stati Uniti e rientra pulito. Le attività lecite e illecite sono protette da un patto con il presidente Batista, perciò, a Cuba, la mafia può operare indisturbata e all’Avana nascono hotel come il Capri, di proprietà, appunto, di Lansky: alberghi di lusso, dotati di casinò, night club e tutti i confort possibili.
È l’epoca del Montmartre, del Tropicana, del Floridita e dei fasti dell’Hotel National. Gli americani prendono letteralmente d’assalto l’isola caraibica: per le star come Frank Sinatra, i politici come J.F. Kennedy e le grandi personalità del mondo del business americano L’Avana è la città del divertimento senza limite. In questo scenario la miscelazione caraibica si evolve e diventa di moda. Le notti all’Avana profumano di sesso e gioco d’azzardo e l’alcol scorre a fiumi: Cuba Libre, Daiquiri, Papa Doble e Moijto sono le star delle notti cubane, che dureranno fino all’8 gennaio 1959, quando Castro entra all’Avana sancendo l’inizio di una nuova era. Il sogno di Lansky si infrange e, con l’esclusione di qualsiasi influenza americana su Cuba, la mafia subisce uno smacco senza precedenti. Non è però la fine della miscelazione caraibica, che da lì avrebbe continuato a crescere e svilupparsi fuori dai confini dell’isola.
Tiki, una storia semplice
Per quanto riguarda il Tiki, la storia è ancora più semplice, perché una miscelazione polinesiana non è mai realmente esistita. Il Tiki nasce sulla scia di una moda esotica che invade la costa Ovest degli Stati Uniti e che è strettamente legata all’industria del cinema, con Los Angeles come capitale indiscussa. Protagonista assoluto della storia del Tiki è Donn Beach, il cui vero nome era Ernest Reymond Gantt: fu lui il primo ad aprire un locale in stile polinesiano, nel 1933. La vita di Donn Beach è colma di storie avventurose, che molto probabilmente hanno ben poco di reale. Più concreta è invece la produzione cinematografica hollywoodiana, fin dagli anni Venti stregata dal fascino per il Pacifico Orientale. È infinita la serie di pellicole ambientate in scenari esotici come The Adorable Savage (1920), The White Flower (1923), Uragano (1937), Adventure’s End (1937). L’interesse per il genere continua negli anni Quaranta, con film che hanno per tema la guerra nel Pacifico, e con l’attrazione per l’esotico che diventa realtà nel locale di Donn, luogo di incontro per il jet set hollywoodiano: clienti fissi sono Charlie Chaplin, Marlene Dietrich, Clark Gable e Vivien Leigh, ai tavoli si servono cocktail dalla presentazione e dal gusto esotico, come lo Zombie, il Cobra’s Fang, il Navy Grog, e il distillato dominante è il Rum. Ma tutti questi drink non sono importati dalle isole del Pacifico: sono frutto di un’invenzione, il riflesso della moda del tempo e del clima sociale di quegli anni. In definitiva, sono prodotti di una miscelazione artefatta, creata ad arte come uno spettacolo per soddisfare il gusto e la voglia di evasione, che negli anni ha comunque fatto proseliti in tutto il mondo. Il Tiki, inteso come mood e stile di vita, è anche oggi più vivo che mai.
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