di Luca Tesser | L’importanza del ghiaccio in un cocktail è fondamentale, tanto quanto la qualità degli ingredienti. Fare il punto su quale sia l’apporto del ghiaccio a un cocktail non è del tutto scontato. Sì, certo, serve per raffreddare, ma più che altro per diluire. Stiamo parlando di una diluizione controllata, che sarà parte fondamentale del cocktail stesso e maestria assoluta del bartender. Senza l’abbassamento della temperatura non sentiremmo il cocktail alla stessa maniera, la percezione alcolica dominerebbe incontrastata, facendoci perdere l’equilibrio fra le parti, distruggendo ogni rapporto di sapore, note e sfumature, che si potranno avere solo attraverso il potere esercitato dal ghiaccio.
DA ELEMENTO PER POCHI A BENE PER TUTTI
Ma quand’è che il ghiaccio diventa un bene alla portata di tutti? Nel corso del XIX secolo e, propriamente, verso la metà. Prima di allora questo prezioso elemento era accessibile solo a pochi. Allora il ghiaccio non si produceva, ma si prelevava. L’estrazione del ghiaccio avveniva sui laghi ghiacciati del nord degli Stati Uniti o sui ghiacciai. Fra l’altro, l’estrazione era considerata uno dei lavori più pericolosi e gli incidenti mortali durante questa operazione erano frequenti. Blocchi di ghiaccio di grandi dimensioni venivano letteralmente estratti e poi trasportati su carri trainati da cavalli, verso le città o verso i porti, dove potevano prendere il largo per destinazioni più lontane. Qui subentrava la prima problematica: il suo essere deperibile. Portare un carico di ghiaccio a New Orleans dall’estremo nord degli Stati Uniti non era certamente facile: si doveva trovare il modo di conservarlo durante il viaggio e una volta arrivati a destinazione.
Nel corso dell’Ottocento, il primo problema è risolto attrezzando le navi con un sistema refrigerante fatto di pelli, che consentivano un isolamento termico; il secondo, utilizzando ghiacciaie, luoghi anch’essi dotati di un isolamento termico, che potevano essere di grandi dimensioni o essere dei semplici armadi isolati, quelli che si sarebbero poi trasformati nei nostri frigoriferi. Ma la sfida più grande consisteva nel portare ghiaccio e conservarlo in luoghi caldi, come ad esempio il sud degli Stati Uniti. Frederic Tudor è il primo a considerare l’ipotesi di trasportare ghiaccio su lunghe distanze. Vero e proprio visionario, ciò che ha in mente di fare è terribilmente complesso e lo porta più volte sull’orlo della bancarotta. Il suo primo viaggio è nel 1806. La sua nave, la Favorite, parte a febbraio dal porto di Boston con un carico di 180 t di ghiaccio e arriva circa un mese dopo a Saint Pierre, capitale della Martinica, con il suo carico intatto. Com’era stato possibile? Tudor aveva dotato la sua nave di un sistema di isolamento termico che funzionava, come descritto prima, attraverso un rivesti- mento di pelli animali e per mezzo della presenza stessa del ghiaccio. Questo primo viaggio, però, si rivela un fallimento totale, non a causa del trasporto, eseguito correttamente, ma perché una volta sbarcati a terra non ci sono strutture adatte a mantenerlo! Si era però dimostrato che con la giusta dotazione di ghiacciaie a terra, il ghiaccio poteva essere trasportato ovunque. L’anno seguente, Tudor spedisce 180 t di ghiaccio all’Avana, a Cuba, dove invece erano state create le strutture per la conservazione. Nei mesi successivi vengono spediti altri due carichi a Cuba e Tudor ricava dall’operazione seimila dollari: la strada della commercializzazione del ghiaccio è aperta e il mondo non sarà più lo stesso. Nel 1816 il governo cubano concede a Tudor il monopolio del commercio del ghiaccio e nel frattempo Thomas Moore inventa il primo frigorifero. Nonostante tutti i problemi economici e logistici, Tudor riesce a sviluppare una rete commerciale che comprende Cuba e le città del sud degli Stati Uniti, fra cui Savannah, Charleston e New Orleans. Nel 1845 Henry Coleman apre il primo magazzino del ghiaccio a Londra, dando così la pos- sibilità di riceverlo direttamente a domici- lio. La possibilità di bere cocktail e bevande ghiacciate è una novità entusiasmante, che fa il giro del pianeta, cambiando radicalmente il modo di bere. Ogni bar che si rispetti inizia a servire le proprie bevande con ghiaccio e sui banconi compaiono come protagonisti assoluti grandi blocchi di ghiaccio che vengono scalpellati continuamente per servire drink di ogni tipologia nella loro nuova “veste fredda”. L’evoluzione tecnologica porterà poi alla realizzazione di congelatori e macchine per la produzione di ghiaccio.
LA RIVOLUZIONE DEL GHIACCIO
Negli ultimi tempi c’è stato un fondamentale ritorno al passato, che ha ridato al ghiaccio un’importanza che si era un po’ persa. Così, ultimamente, abbiamo assistito all’utilizzo di ghiaccio cristallino, in formati differenti e di una strumentazione che fino a poco fa non era considerata essenziale. I migliori cocktail bar hanno cominciato a dotarsi di laboratori del ghiaccio. Utilizzando non solo cubetti realizzati da produttori di ultima generazione, come ad esempio Hoshizaki, ma anche creando ghiaccio cristallino di varie dimensioni e forme: cubi da 5x5x5 cm, che permettono un discioglimento minore nel bicchiere old fashioned, forme rettangolari, per il collins, e sfere.
Ma come si produce ghiaccio cristallino? Il segreto è semplicemente nel congelamento lento. Se il ghiaccio ha la possibilità di formarsi lentamente, tutte le impurità, e soprattutto l’aria, non verranno imprigionate nel ghiaccio stesso, che assume così un aspetto perfettamente trasparente. Per arrivare a questo risultato dovremo controllare la temperatura e proteggere l’acqua, affinché si congeli lentamente. Come? Con contenitori isolanti, senza avere fretta e con dedizione.
I blocchi ottenuti andranno poi lavorati: tagliati nelle giuste dimensioni e rifiniti. Non è un caso che questa rivoluzione del ghiaccio sia partita dal Giappone, un Paese che della perfezione ha fatto il suo slogan principale. A Tokyo, come in altre città nipponiche, operano produttori di alto livello e da sempre si utilizzano blocchi di ghiaccio puro. Vero è che oggi può apparire anche come una moda, ma ben vengano le mode quando sono così funzionali e positive per la qualità del prodotto finale. L’estetica fa la sua parte e il cubo 5x5x5 la fa da padrone nei drink serviti nei migliori locali del mondo, in sostituzione del caro vecchio cubetto. E se il cubetto è pieno o di ghiaccio cristallino e puro, cambierà l’effetto estetico, ma non la funzionalità, che rimane quella di combattere una diluizione troppo veloce. Non c’è nulla di peggiore di un cocktail troppo o troppo poco diluito, o non abbastanza freddo.
RITORNO ALLE ORIGINI E MODERNITÀ
Praticamente, si è ritornati a utilizzare il ghiaccio come alle origini della miscelazione, quando non esistevano produttori, ma solo ghiacciaie e grandi blocchi da tagliare. Questo nuovo approccio è diventato un fenomeno mondiale, in un momento in cui nella miscelazione stiamo assistendo a un cambio radicale di stile: stiamo osservando, infatti, che lo stile “speakeasy” sta lasciando sempre più il posto a una miscelazione più moderna, nella quale il drink è creato in maniera differente, guardando a una estetica più minimalista, ma supportata da preparazioni complesse, ottenute attraverso strumentazioni da laboratorio. Anche i bicchieri utilizzati sono più semplici, minimal, appunto, come minimal sono le decorazioni: a rendere i cocktail spettacolari è semplicemente il notevole impatto estetico dato proprio dal ghiaccio cristallino.