di Virna Bottarelli |
Stati Uniti, anni Trenta: il proibizionismo è finito, gli alcolici sono commercializzati liberamente e nelle città americane c’è voglia di lasciarsi alle spalle il dramma della Prima Guerra Mondiale e le difficoltà economiche della Grande Depressione. È in questo scenario che si apre, per la miscelazione, l’era Tiki. Questo termine, che nella lingua polinesiana indicava una figura mitologica maori, con il passare del tempo è stato associato alle statue incise in legno e raffiguranti figure mitologiche e divinità polinesiane, oggetti evocativi di un mondo esotico che negli anni Venti aveva fatto breccia nei cuori dei viaggiatori e che ora veniva riprodotto nei cocktail bar americani. Il primo locale a ricreare, nella Hollywood del 1933, l’atmosfera paradisiaca della Polinesia è il Don’s Beachcomber di Ernest Raymond Beaumont Gantt, considerato il padre della cultura Tiki, anche se in quegli anni i suoi drink erano definiti semplicemente come “esotici”. Appassionato viaggiatore ed ex contrabbandiere, Gantt, che poi si farà chiamare Donn Beach, crea in California una miscelazione inedita, con tecniche ben precise e il Rum come ingrediente principe, e propone drink destinati a entrare nella storia, come lo Zombie e il Mai Tai.
Il boom del Tiki
Negli anni Quaranta e Cinquanta negli Stati Uniti lo stile Tiki spopola, complice la diffusione della cucina e dell’arredamento tipici del Pacifico Meridionale, che i soldati americani avevano scoperto durante la Seconda Guerra Mondiale. Ai locali di Donn Beach, che nel frattempo ha creato la catena “Don The Beachcomber”, si aggiungono quelli di Victor j. Bergeron, fondatore del Trader’s Vic a Oakland, un tiki bar che darà il là a una catena di oltre venti ristoranti in tutto il mondo, e quelli, particolarmente raffinati, di Stephen Crane.
Negli anni Sessanta il Tiki entra nella cultura di massa con il film Blue Hawaii, commedia sentimentale ambientata a Honolulu, che ha per protagonista un vero e proprio idolo dell’epoca: Elvis Presley. Al decennio d’oro del Tiki segue però, negli anni Settanta, un declino: da un lato le discoteche diventano i nuovi luoghi d’elezione per trovare momenti di evasione e divertimento, dall’altro la stessa miscelazione Tiki perde i connotati originali e inizia a essere identificata nei sapori più dolci e nelle consistenze frozen dei cosiddetti “boat drink”, i cocktail da crociera. Ma guai a pensare che il Tiki sia sparito dai radar: all’inizio del nuovo millennio, in quella che è considerata una nuova Golden Era della miscelazione, ritorna l’interesse verso i cocktail esotici e si diffonde il desiderio di scoprire la storia e il contesto culturale dai quali provengono.
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