Roberta Mariani e Palmira Bertuca sono rispettivamente Global Advocacy Director e Aperitivo Specialist per l’Italia di Italspirits. La prima ha trascorso oltre sei anni come Brand Ambassador Globale per Martini & Rossi e fa parte del team che ha aperto il Bar Termini a Londra. La seconda ha una ricca esperienza all’estero nel settore dell’ospitalità: l’Edition di Londra, il Bar Machiavelli di Sydney, la Soho House di Barcellona, l’InterContinental di Singapore.
Due donne affermate nel settore della miscelazione, che hanno saputo mettersi in gioco più volte nella loro vita lavorativa. E non hanno ancora smesso di farlo. Ecco come si sono raccontate a Mixology Mag.
Roberta Mariani: “Lasciatevi ispirare”
“Ho mosso i primi passi come barista, facendo caffè, bevanda di cui adoro il profumo e di cui sono appassionata. La scintilla per la miscelazione e l’ospitalità è scattata poi durante gli anni dell’Università, in un locale di San Felice Circeo. Qui sono stata stregata da quel mix di arte e tecnica che vedevo esprimersi nelle gesta dei bartender e ho iniziato anch’io a preparare i primi cocktail”, racconta Roberta Mariani, che oggi vive e lavora a Londra e ricorda con un sorriso la sua prima Caipiroska servita sul litorale tirrenico.
Quali sono stati i momenti più significativi nella tua carriera?
Difficile fare un elenco. Grazie a questo lavoro ho avuto la fortuna di conoscere e confrontarmi con molte persone e ciascuna di loro ha arricchito il mio percorso. Certo, la decisione di trasferirmi a Londra nel 2011-2012 è stata un punto di svolta: in quel momento ho davvero preso coscienza di che cosa volessi fare nella mia vita e l’apertura del bar Termini a Londra, cocktail bar di livello internazionale, è stata una tappa significativa della mia carriera di bartender. Poi c’è stato l’incarico di Global Ambassador per Martini, che mi ha dato la possibilità di diventare ambasciatrice della cultura dell’aperitivo e degli spirits italiani nel mondo, e, infine, l’ingresso in Italspirits, che mi ha aperto prospettive ancora nuove, mettendomi a confronto con le dinamiche di una startup.
Quanto dei tuoi gusti personali e del tuo stile hai messo e metti nel tuo lavoro e quanto, invece, hai assorbito da altri bartender che ti hanno ispirato?
Ho avuto la fortuna di conoscere tantissimi professionisti in tutti gli ambiti dell’hospitality, dai manager ai lavapiatti, e tutti mi hanno in qualche modo ispirato. Ho sempre cercato di non rinunciare al mio tocco personale, ma di interpretare quello che mi ispirava: è importante essere diversi, avere una propria unicità. Non ha senso “scimmiottare” i bartender di successo: è proprio l’essere unici ad averli resi speciali.
Che cos’è per te l’eleganza nella miscelazione?
L’eleganza è una serie di immagini: Eric Lorincz dietro al bancone, un ghiaccio trasparente tagliato alla perfezione, i bicchieri di Remy Savage, Alessandro Palazzi che serve un cocktail Martini al Dukes di Londra, il sorriso di Maura Milia che ti accoglie al Connaught Bar. Ma, soprattutto, per me eleganza è un bar che accoglie, nel quale tutti si sentono accettati.
Ci parli del ruolo di “advocacy director” che da un anno ricopri in Italspirits?
Nel mio ruolo ho l’obiettivo di elevare l’esperienza dei brand Italicus e Savoia e di guidare programmi di informazione e formazione rivolti a bartender e mirati a migliorare la percezione di questi marchi del made in Italy e delle categorie di prodotto di cui fanno parte. Il tutto seguendo eventi e fiere. È un lavoro che mi consente di interagire con le nuove generazioni di professionisti e di condividere, oltre alla mia competenza, la mia passione per il mondo degli amari e della liquoristica italiana.
Rivedi in questi giovani qualcosa di te, della tua storia, o pensi siano una generazione molto diversa dalla tua?
L’entusiasmo e la determinazione sono gli stessi in tutti i giovani. Certo, io posso dire di appartenere ancora alla vecchia scuola e di aver vissuto gli anni in cui la comunità dei bartender era piuttosto chiusa, meno propensa alla diversità e con modi diversi di fare la cosiddetta gavetta. Certo, sono cambiati gli strumenti e i modi di apprendere: se ai miei esordi dovevo studiare su libri che ordinavo magari in condivisione con amici e ricevevo magari dopo settimane o mesi, oggi le informazioni sono immediate e si ha la percezione che tutto sia a nostra disposizione in ogni momento.
Questa idea del “tutto e subito” non rischia di sfociare in una superficialità che va a discapito della professionalità e della preparazione?
Non parlerei di superficialità ma di un’abbondanza di informazioni che rende difficile selezionare le fonti migliori e più affidabili. Il rischio di credersi, erroneamente, “tuttologi”, in effetti esiste.
Rosoli, Bitter e Vermouth: su quali aspetti stai puntando per riportare in auge questi “grandi classici”?
C’è da qualche anno un grande interesse per il Made in Italy, che va di pari passo con la riscoperta dei classici come, appunto, Rosoli, Bitter, Vermouth, amari e liquoristica italiana in generale. È in crescita la categoria dell’aperitivo, con il consumatore che cerca drink sempre più lunghi e rinfrescanti, anche sulla scia di una maggiore consapevolezza del bere responsabile, e sta abituando il suo palato a gusti meno dolci. Sono trend che si accompagnano perfettamente all’obiettivo che si pone Italspirits di formare e informare sulla ricca tradizione dell’aperitivo e sulle relative categorie di prodotto. Possiamo così raccontare le storie affascinanti dei drink della nostra tradizione, senza dimenticare di fare innovazione, ossia di valorizzarne anche le diverse interpretazioni.
Al Roma Bar Show 2023 hai lanciato il progetto Balancəd: di che cosa si tratta e come sta procedendo?
È un progetto a cui sono molto legata, concepito in collaborazione con Roma Bar Show, che si fa promotore di positività e uguaglianza nel settore del bar. Si è svolto attraverso una serie di interviste con persone della nostra community su diversi temi, dall’educazione ai social media, alla genitorialità, alla diversità. È stato un momento di ascolto molto importante e utile a capire punti di vista diversi dal proprio, per prendere consapevolezza di problematiche che magari tendiamo a ignorare perché non le viviamo in prima persona.
E se parliamo di diversità, parliamo anche di donne e bartending: qualcosa è cambiato?
Oggi sono tante le donne che lavorano dietro al bancone, anche sulla scia di un lavoro di promozione fatto da tante organizzazioni. Credo siamo sulla strada giusta e penso anche che dovremmo smettere di pensare a compartimenti stagni: se mi chiedessi quali consigli darei a una ragazza che vuole intraprendere la carriera di bartender, ti risponderei senza fare distinzioni tra maschile e femminile. Tanto a un ragazzo quanto a una ragazza suggerirei di osservare i bartender più esperti, di non smettere mai di studiare, ascoltare, essere umili. Lasciarsi ispirare dai professionisti che incontrano nel loro percorso, apprendere da culture diverse e vivere a pieno, anche divertendosi, la comunità in cui abbiamo la fortuna di lavorare, una comunità davvero universale, basata su una potente rete di connessioni.
Palmira Bertuca: la passione come compagna di viaggio
La passione di Palmira Bertuca per il bartending è iniziata molto presto e, come accade spesso alle carriere di successo, un po’ per caso. “Ho iniziato a lavorare in discoteca nei week end quando ancora frequentavo il liceo delle scienze sociali”, racconta, spiegando come l’impegno del fine settimana si sia poi trasformato in un lavoro stagionale in un cocktail bar di Marina di Ravenna e, qualche anno dopo, nella sua professione. “Per fare in modo che la mia passione diventasse il mio lavoro era necessario spostarsi, fare esperienza altrove. Così sono partita per Londra”.
Anche per te, quindi, Londra ha rappresentato la svolta. Che cosa ti hanno lasciato questa esperienza e le altre che hai maturato in giro per il mondo?
È stata innanzitutto un’esperienza formativa: non solo perché ho imparato l’inglese, ma perché ho partecipato all’apertura dell’Edition e ho visto da vicino che cosa significa lavorare in un hotel di lusso. Terminata l’avventura in Gran Bretagna, che mi ha insegnato quanto sia importante essere preparati e dediti al lavoro, sono stata in Australia, dove ho lavorato per un ristorante gestito da un amico e ho acquisito conoscenze anche in ambito enologico. A Sidney ho capito, imparandolo dagli australiani, quanto sia importante saper bilanciare lavoro e vita privata. Certo, forse loro sono facilitati dallo scenario naturale in cui vivono: un mare e una costa fantastici dove trascorrere il tempo libero. Poi è stata la volta di Singapore, dove mi sono confrontata con una cultura completamente diversa dalla nostra e con un palato, quello asiatico, non abituato al gusto amaro. Ma Singapore mi ha dato tanto in termini umani ancora prima che professionali: lì ho respirato un profondo senso di comunità, di appartenenza e unione. Infine, dall’Asia sono tornata in Italia, a Firenze, dove ho avuto la possibilità di creare un bar da zero, curandone il concept e formandone lo staff, e dove ho iniziato l’avventura con con Italspirits e i brand Italicum e Savoia, grazie alla quale ho l’opportunità di parlare di aperitivo e formare, sul tema, una nuova generazione di bartender.
Che cos’è per te l’eleganza quando parliamo di miscelazione?
Credo sia innanzitutto un tratto rintracciabile nei movimenti: il bartender deve essere fluido, naturale e saper mettere a proprio agio gli ospiti del locale. Non si tratta solo di essere ben vestiti, pettinati e in ordine: l’eleganza è anche nel modo di porsi.
Qual è la tua missione come “Aperitivo Specialist” per Italspirits?
Il mio focus principale è formare le nuove generazioni di bartender sulla cultura dell’aperitivo. Non si tratta solo di raccontare la tradizione dell’aperitivo, che in Italia è peraltro ben radicata, ma renderlo attuale, plasmarlo anche sulla base dei gusti del consumatore contemporaneo. Con Italicus e Savoia abbiamo gli ingredienti perfetti per parlare di tradizione e innovazione, per creare un aperitivo moderno, reinventando le ricette e adattandole al palato moderno.
Hai una tua idea di aperitivo perfetto?
L’aperitivo per me è condivisione e la perfezione può essere anche un brindisi tra amici davanti a un tagliere di formaggi, olive e taralli. Se vogliamo citare un drink, direi l’Italoamericano fatto con una parte di Italicus con rosolio al bergamotto, una parte di Savoia Americano rosso e una parte di soda, guarnito con una fettina d’arancia.
Che cosa consiglieresti a un giovane o a una giovane che volessero intraprendere la carriera da bartender?
L’ingrediente principale per fare il nostro lavoro è indubbiamente la passione. Stare al bancone è una professione che richiede tanti sacrifici: se non si ama quello che si fa, diventa difficile sostenerli. Un altro elemento imprescindibile è essere preparati, studiare e fare esperienza in luoghi diversi, conoscere le varie sfaccettature e sfumature di questo lavoro. Infine, un consiglio che forse è ancora più importante per le donne, che ancora sono una minoranza nel panorama della miscelazione: siate grintose e determinate, non ponetevi limiti se non per cercare di superarli.
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