di Roy Batty |
Se c’è una cosa che mi fa salire il sangue al cervello sono le maledette recensioni. Siamo nell’Era del Social, dove tutto vale poco più di nulla e dove chiunque può dire la sua. Quanto è democratico il Web! Peccato che spesso e volentieri il livello d’intelligenza di quello che definirei come “recensore seriale” è talmente basso da fare rabbrividire una capra. Siamo di fronte a un nuovo e meraviglioso esemplare di essere umano: il tuttologo per eccellenza, che non conosce nulla, ma si sente di poter giudicare qualsiasi cosa. Per questo strano essere, la recensione diventa ragione di vita primaria, al punto da sentirsi in dovere di dare il proprio giudizio dal benzinaio in tangenziale, al tabaccaio in fondo alla strada, fino a trasformarsi da critico d’arte a critico culinario in un battito di ciglia. Dunque, grazie a questo essere mitologico della peggior specie, ci troviamo a leggere cose al limite del demenziale, del tipo: “Inaccettabile, si sono rifiutati di servirmi un Mojito!”, con una stelletta e, magari, rincarando la dose con il solito “personale scortese”, “barman maleducato”, ovviamente omettendo che questi gli ha comunicato di non avere la menta e che in quel locale non si serve quel tipo di cocktail. Poi esiste il recensore che pensa di avere una cultura in materia e ci troviamo di fronte al festival dell’arroganza: “Mi hanno servito un Martini in una specie di bicchiere da vino, non hanno nemmeno i bicchieri corretti da Martini!”, quando il bicchiere da vino in questione era una Nick & Nora. Oppure: “Mi hanno fatto un Whisky Sour con l’albume d’uovo, incapaci!” E c’è anche chi arriva al paradosso: “Assurdo, non c’era posto e quindi non mi hanno fatto entrare”. Quindi, caro recensore seriale, che cosa stai giudicando, se non sei entrato nel locale? E cosa non ti è chiaro sul fatto che il locale fosse pieno?
Il fatto strano è che quasi mai ci troviamo davanti a una sincerità assoluta. Non ci sarebbe nulla di male a leggere un semplicissimo “Non mi è piaciuto”, affiancato da una spiegazione sensata del perché il locale, il cocktail o il servizio non siano stati di gradimento, perché ognuno può esprimere il proprio parere. Ma, tornando seri, è l’elemento vendicativo che spaventa, che priva le recensioni di senso e le rende uno strumento negativo. Se poi mettiamo sulla bilancia le quantità di recensioni false, anche positive, i furbetti sono tanti, galleggianti come spazzatura su uno specchio d’acqua che dovrebbe essere limpido e veritiero.
Se vai in un locale e stai bene, nel 90% dei casi non scriverai nulla o, al massimo, metterai un voto a cinque stelle senza spiegare le tue motivazioni, ma se per qualche motivo ti trovi male, non interrogandoti però sul fatto che, magari, è stato il tuo approccio a essere sbagliato, ti senti immediatamente in dovere di distruggere il locale con una bella recensione negativa. Non si può ragionare per vendetta, per far del male, perché bisogna rendersi conto che si sta parlando di un’attività commerciale e la recensione astiosa può, oltre che ferire la sensibilità dello staff, fare seri danni. Pensiamo, ad esempio, al cameriere che si trova a dover spiegare al suo titolare che, magari, il motivo per cui un cliente ha scritto una recensione terrificante su di lui in realtà era inesistente. Per lo meno, si dovrebbe dare una possibilità più ampia di eliminare alcune recensioni, così come obbligare chi le scrive a motivare la propria scelta. Insomma, ci troviamo davanti a una terra di nessuno, un ambito poco regolamentato e, soprattutto, poco sensato, nella quale il recensore seriale è più che mai a suo agio. Ma, d’altronde, a essere poco sensata è la contemporaneità.
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