Bene i signature, ma occhio ai classici!

di Roy Batty |

L’importanza dei classici è indubbia e dobbiamo farcene una ragione. Va bene conoscere tecniche innovative, costruire i cocktail in maniera più fantasiosa possibile, ma il classico va conosciuto, va studiato, va proposto. È vero che la miscelazione oggi è sempre più fondata sul signature, sulla creatività, sulla capacità di proporre cocktail sempre nuovi su cui creare le proprie drink list, ma la conoscenza del classico rimane fondamentale. Anche perché, parliamoci chiaro, chi ama il cocktail ama i classici ed è su quelli che vi mette alla prova.

Il signature è fantastico, va benissimo e più ce ne sono meglio è, ma il cliente spesso apprezza di più e vi considererà dei grandi bartender se riuscirete a esprimevi con un classico interpretato in maniera perfetta o proponendo un vostro twist che asseconderà di più il suo gusto.

Poi, la maggior parte dei signature parte sempre da una base classica. Se si propone un drink con una base di Genever, con del Bitter, del Vermouth e un syrup di alghe, affumicato con un legno particolare, la struttura è pur sempre quella di un Negroni. Se proponiamo, invece, un cocktail con un Mezcal, del succo di lime, un fermentato di mango e un syrup di qualche genere, la sua struttura sarà quella di un Daiquiri. Si potrebbe dire che nel 70% dei casi qualsiasi signature ha una base classica o, meglio, parte da un’ispirazione classica.  D’altra parte, trovo paradossale il fatto che nella stragrande maggioranza dei cocktail bar non ci siano in lista i “classici”. A parte alcuni cocktail iconici che tutti conoscono, come il Negroni, il Martini, il Margarita, crediamo veramente che il cliente conosca cocktail come il Vieux Carré o un Rasty Nail, un Last Word o un Aviation? La risposta è, semplicemente: no! La stragrande maggioranza dei cocktail classici li conosciamo noi addetti ai lavori o l’appassionato, ma certamente non il cliente medio. Non presumiamo che quest’ultimo conosca la miscelazione: quello che per noi è ovvio non lo è quasi certamente per il nostro ospite. Chi si siede al bar va necessariamente confortato e indirizzato. Non si può lasciarlo in balia di una drink list senza che abbia la minima idea degli ingredienti usati e, soprattutto, non si può dire: “I cocktail classici è ovvio che li facciamo tutti”.

Un’altra cosa che mi fa letteralmente impazzire è il fatto che certi bartender si sentano sminuiti quando il cliente chiede un classico, come se la scelta del cliente fosse banale. Cosa c’è di banale se il nostro cliente chiede un Daiquiri o un Manhattan? Il nostro compito dev’essere quello di riuscire non solo ad accontentare la richiesta, ma quella rendere unico il nostro classico con la scelta di prodotti che ne rendano un’interpretazione il più possibile equilibrata e personale, pur rimanendo fedeli a una ricetta storica. La semplicità è il più delle volte il segreto di un grande cocktail e, se ci fate caso, è il comun denominatore di ogni classico. Ho visto centinaia di clienti che non avevano alcuna passione per i cocktail diventare appassionati attraverso i classici. È così che, spesso e volentieri, si ottiene la fiducia e la stima del cliente. Quindi ben vengano la creatività, l’utilizzo di qualsiasi tecnica e di qualsiasi ingrediente per creare cocktail sempre nuovi e dal gusto unico, ma non pensate nemmeno per un secondo che un classico possa essere banale o non degno di essere eseguito o proposto.


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